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AVVISI ----- Nell'area riservata sono disponibili tutti gli ALLEGATI all'Agenda Aniv 2022 ----- Nell'area riservata è stato pubblicato il numero 1 anno 2022 della rivista L'Ispettore e la Società ----- Nell'area riservata sono stati pubblicati i numeri 6, 7 e 8 anno 2022 della rivista PIANETA LAVORO E TRIBUTI -----
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ANIV-LAB - Laboratori di approfondimento sulla vigilanza

 

Aniv Lab homeVi presentiamo ANIVLAB.

A tutti gli iscritti Aniv è stata inviata una newsletter con una presentazione delle funzioni della nuova piattaforma.

In sintesi la piattaforma ha due funzioni:

  • favorire il confronto sulle tematiche istituzionali e degli Enti;
  • favorire l'approfondimento e la formazione su argomenti e temi specifici che interessano l'attività di vigilanza.

 

Queste funzioni vengono svolte attraverso le AREE ed i LABORATORI.

 

AREE

Le Aree (o Spazi) attivate sono:

  • Area Benvenuto (dove trovate informazioni sull'utilizzo della piattaforma, ad esempio i video di aiuto);
  • Area Test (che potete usare per fare prove di utilizzo della piattaforma);
  • Area Ispettori per discutere delle problematiche di categoria (aperta a tutti gli ispettori);
  • Area INL per discutere delle problematiche di Ente (riservata ai dipendenti ex DtL);
  • Area INPS per discutere delle problematiche di Ente (riservata ai dipendenti Inps);
  • Area INAIL per discutere delle problematiche di Ente (riservata ai dipendenti Inail);
  • Area ANIV per discutere le problematiche relative all'associazione;
  • Area Consiglio Generale: spazio riservato ai componenti del Consiglio;
  • Area Centro Studi: spazio riservato ai componenti del Centro studi;
  • Area Coordinatori regionali: spazio riservato ai Coordinatori regionali;
  • Aree regionali (per alcune regioni con molti ispettori);
  • Aree riservate per gli altri organismi dell'associazione.

 

LABORATORI

I Laboratori sono spazi tematici per approfondimenti e formazione; in sostanza una specie di forum, leggermente più strutturati. Al momento i laboratori previsti sono:

  1. Laboratorio aziende, per gli aspetti contributivi;
  2. Laboratorio classi di rischio e premi;
  3. Laboratorio sanzioni;
  4. Laboratorio problematiche UPG;
  5. Laboratorio informatica;
  6. Laboratorio verbali;
  7. Laboratorio appalti, somministrazioni e distacchi (ultimo attivato).

Ulteriori laboratori potranno essere implementati a seconda delle necessità che man mano emergeranno.

Tranne che per le aree riservate, potete accedere a qualsiasi area o laboratorio.

esempio anivlab

Qui sopra un'immagine a titolo di esempio della piattaforma

All'interno di ciascuna area e laboratorio sono previsti diversi strumenti (che verranno presentati in un video specifico) come il sondaggio, l'area documenti, il blog, la newsletter, i link utili ed il wiki (un potente strumento per la elaborazione di documenti condivisi).

Per quanto riguarda le aree, i componenti della Segreteria si faranno carico di raccogliere segnalazioni inerenti gli Enti o l'ANIV.

I componenti del Centro Studi si faranno invece carico di raccogliere suggerimenti e problematiche su argomenti emergenti nei Laboratori, da far diventare proposte o elaborazioni di contenuti utili.

Qui sotto il link per accedere alle prime video-lezioni di aiuto predisposte dagli amministratori della piattaforma. Altri video saranno disponibili direttamente in Aniv-Lab.

Buon lavoro a tutti

Guarda le prime video lezioni

 

 

Pubblicato: 17 Maggio 2021
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INPS - Messaggio n. 1911 del 13/05/2021

 

Esonero contributivo parziale dal pagamento dei contributi Inps per autonomi e professionisti previsto dall'art. 1 commi 20-22, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.

(a cura di Michele Martino)

 

modello F24 inps

 

L’articolo 1, commi dal 20 al 22, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge di bilancio per l'anno 2021), per supportare la variegata platea dei lavoratori autonomi e dei professionisti, che come noto ha subito forti penalizzazioni a causa della pandemia da Covid-19 e dalle chiusure dovute al lockdown, ha disposto per l’anno 2021 l’esonero parziale della contribuzione previdenziale e assistenziale dovuta dai lavoratori autonomi e dai liberi professionisti iscritti alle gestioni autonome speciali dell’INPS e alle casse previdenziali professionali autonome, che si trovino nella condizione di aver percepito, nel periodo d'imposta 2019, un reddito complessivo lordo imponibile ai fini IRPEF non superiore a 50.000 euro e abbiano subito, nell'anno 2020, un calo del fatturato o dei corrispettivi non inferiore al 33 per cento rispetto a quelli dell'anno precedente, vale a dire rispetto al 2019.

L’articolo 1, comma 21, della legge n. 178/2020, in particolare, demandava la definizione dei criteri e delle modalità per la concessione dell'esonero in oggetto all’adozione di uno o più decreti da parte del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, il cui iter di pubblicazione è in corso di definizione.

Con il messaggio 1911 del 13-05-2021 l'Istituto di previdenza, dopo aver acquisito il nullaosta da parte del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in attesa della pubblicazione del primo decreto interministeriale (di cui ne disponiamo copia col testo firmato dal ministro Orlando) e vista la scadenza ormai prossima del 17 maggio 2021 quale data ultima per il versamento della prima rata dei contributi (fissi, relativi 1° trimestre 2021) dovuti dai soggetti iscritti alle gestioni autonome artigiani e degli esercenti attività commerciali gestite dall’INPS, comunica il differimento al 20 agosto 2021 del termine di pagamento della rata suddetta.

Abbiamo ricevuto da più parti una richiesta di parere e chiarimenti in merito all'esonero dal versamento e al correlato accredito dei contributi sulla posizione individuale dei lavoratori. Dal contenuto normativo si desume che, trattandosi di esonero previsto per legge e finanziato da un fondo all'uopo istituito, per gli aventi diritto l'accredito della contribuzione trimestrale sarà operato dall'Inps senza alcuna limitazione.

 

 _________________________________________________________________________

Ti potrebbe interessare il contenuto del Decreto Legge 22 marzo 2021 , n. 41 (c.d. Decreto Sostegni), con il quale, tra l'altro, per garantire l’assegnazione del beneficio a tutti i potenziali aventi diritto, sono state aumentate le risorse incrementando la dotazione del fondo dai 1000 milioni iniziali a 2,5 miliardi di euro (Art. 3 c.1 lett.a).

 

 

 

 

Pubblicato: 15 Maggio 2021
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INL - Circolare n. 1 del 08/02/2021

           Lavoro intermittente e CCNL

 

lavoro intermittente 1

 

In seguito ad alcune recenti pronunce giurisprudenziali, cui sono seguite le note prot. 930 e 931 del 01/02/2021 dell'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro in data 8 febbraio 2021 ha diramato la circolare n. 1 con la quale ha fornito chiarimenti riguardo al campo di applicazione del lavoro intermittente ed alle limitazioni imposte ai CCNL, ai quali è precluso porre divieti all'utilizzo di tale forma contrattuale.

 

(di Anna Rita Caruso, Centro studi Aniv)

 

  • Qual è il quadro in cui si inserisce la circolare INL n. 1/2021 sul lavoro intermittente?

L’art. 13 del D.Lgs. 81/2015, c.d. jobs act, prevede che il datore di lavoro può utilizzare la prestazione lavorativa intermittente secondo le esigenze individuate dai CCNL, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro.

Il contratto può essere concluso con soggetti con meno di 24 anni, purché le prestazioni siano svolte entro il venticinquesimo anno, oppure soggetti con più di 55 anni. Con l'eccezione dei settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo, il contratto intermittente è ammesso con il medesimo datore di lavoro, per un periodo non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto a tempo pieno e indeterminato. Nei periodi in cui non viene utilizzata la prestazione, il lavoratore non matura alcun trattamento economico, salvo abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità.

È vietato il ricorso al lavoro intermittente per la sostituzione di lavoratori in sciopero, presso unità ove si è proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi o nelle quali è operante una sospensione o riduzione dell'orario causa CIG, nonché per i datori che non hanno effettuato la valutazione dei rischi. Il contratto è stipulato in forma scritta e deve contenere: durata, luogo, modalità della disponibilità, preavviso di chiamata non inferiore a un giorno lavorativo, trattamento economico, modalità con cui il datore è legittimato a richiedere la prestazione, modalità di pagamento e indennità di disponibilità. Prima della prestazione o di un ciclo integrato fino a 30 giorni, il datore è tenuto a comunicarne la durata alla Direzione territoriale del lavoro mediante sms o posta elettronica. In caso di violazione degli obblighi si applica la sanzione da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124. La misura dell'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, è determinata dai CCNL e non è inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro. In caso di malattia il lavoratore è tenuto a informare il datore e, laddove non provveda all'adempimento, questi perde il diritto all'indennità per un periodo di 15 giorni. Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità. Il lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello; lo stesso trattamento è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita dal lavoratore intermittente.

  • Perché il contenuto degli interpelli del M.L. n. 37/2008 e n. 18194/2016 si intende superato con la recente sentenza della Cassazione n. 29423/2019?

Con l’interpello n. 37/2008 il Ministero del Lavoro ribadisce che i contratti collettivi sono chiamati ad individuare le condizioni in presenza delle quali risulta possibile utilizzare il contratto intermittente. In assenza di previsioni contrattuali, l’art. 40 del D.Lgs. n. 276/2003, individua i “casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente” mediante il D.M. 23 ottobre 2004 che rinvia alla tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. n. 2657/1923 (mantenuto in vigore dal D.L. n. 112/2008 come convertito dalla L. n. 133/2008).

Con la nota n. 18194/2016 lo stesso Ministero del Lavoro ricorda che l’art. 13 del D.lgs 81/2015 demanda al contratto collettivo l’individuazione delle esigenze organizzative e produttive con riferimento alle quali possono svolgersi prestazioni di lavoro intermittente. In mancanza di tali previsioni contrattuali, supplisce, allo stato ed in virtù di quanto previsto dall’art. 55, comma 3, del D.Lgs. 81/2015, il DM 23.10.2004 che fa rinvio alla tabella allegata al RD 2657/23. Il richiamato articolo 13 quindi non sembra escludere che la contrattazione collettiva possa stabilire il divieto di utilizzo di tale forma contrattuale. In tali casi, resta comunque legittimo il ricorso al lavoro intermittente quando sussistano i requisiti soggettivi atteso che l’art. 13, comma 2, del D. Lgs. n. 81/2015 prevede che il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età (purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno) e con lavoratori con più di 55 anni.

Ne consegue che la violazione delle clausole contrattuali che escludano il ricorso al lavoro intermittente determina, laddove non ricorrano i requisiti soggettivi sopra richiamati, una carenza in ordine alle condizioni legittimanti l’utilizzo di tale forma contrattuale e la conseguente applicazione della sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, così come chiarito nella circolare n. 20/2012.

Ora, la sentenza della Cassazione n. 29423/2019 cambia rotta rispetto alle indicazioni precedenti e stabilisce che i CCNL possono disciplinare l’intermittente, individuando solo i motivi, ma non sono legittimati a vietarne l'impiego, come invece era stato ipotizzato nella nota del M.L. n. 18194/2016.
Ciò significa che la sentenza in esame conferma la piena legittimità del contratto intermittente stipulato tra un
datore di lavoro ed un lavoratore sulla base del citato R.D. n. 2657/1923 richiamato dal D.M. del Ministro del Lavoro del 23 ottobre 2004, nonostante le parti sociali nel CCNL abbiamo escluso la possibilità del ricorso alle prestazioni di lavoro intermittente.

La Corte riferisce che non esiste alcun ruolo delegato alle parti sociali finalizzato a vietare l'utilizzo del lavoro intermittente, ma soltanto una delega finalizzata ad individuare la casistica ovvero i motivi per farne ricorso. Secondo i giudici il D.M. ha una natura sostitutiva, in attesa che le parti nel CCNL individuino le ipotesi alle quali sia possibile il ricorso a tale tipologia contrattuale.

  • Che impatto ha questa circolare sull’attività ispettiva?

L’ispettore deve ricordare che un CCNL non può vietare l’applicazione del contratto intermittente ad un determinato settore, ma può solo regolamentare le ragioni del ricorso. Pertanto, non posso disconoscere un contratto intermittente perché illegittimo in virtù di quanto statuito nel CCNL, posso disconoscerlo solo se non vi sono le ragioni oggettive individuate nel CCNL o sono violati i requisiti stabiliti dalla legge (meno di 24 anni, più di 55 anni, superamento delle 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari, utilizzo per la sostituzione di lavoratori in sciopero, utilizzo presso unità ove si è proceduto nei 6 mesi precedenti a licenziamenti collettivi o nelle quali è operante una Cassa integrazione, nonché per i datori che non hanno effettuato la valutazione dei rischi).

Ciò detto, l’ispettore dovrà conformarsi alla pronuncia della Suprema Corte, nel senso di non tener conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole sociali che si limitino a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente. Occorrerà quindi limitarsi a verificare se il ricorso al lavoro intermittente sia invece ammissibile in virtù dell'applicazione delle ipotesi c.d. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 oppure delle ipotesi c.d. soggettive, ossia “con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, o con più di 55 anni”.

  • Ma perché la sentenza della Cassazione n. 29423/2019 vieta di fatto ai CCNL di inserire il divieto di utilizzo dell’intermittente?

La sentenza ha evidenziato che l’art. 34, comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 si limita a demandare al CCNL l’individuazione delle esigenze per le quali è consentita la stipula di un contratto intermittente, senza riconoscere alle parti sociali alcun potere di interdizione, né un siffatto potere di veto può ritenersi dal rinvio alla disciplina collettiva che concerne solo un particolare aspetto della figura contrattuale ovvero la disciplina delle situazioni che giustificano il ricorso all’intermittente.

La sentenza mette dunque in evidenza la circostanza secondo cui alle parti sociali è affidata l’individuazione delle sole “esigenze” che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale, posto che alle parti sociali non è riconosciuto alcun altro potere interdittivo.

  • Ma allora le aziende di autotrasporto possono usare il contratto intermittente con i loro autisti?

Il Ministero del lavoro ha chiarito che l’attuale CCNL non individua le esigenze per le quali è consentita la stipula del contratto intermittente. Di conseguenza si deve fare riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923 che tra le attività discontinue annovera quella del personale addetto al trasporto di persone e merci, in particolare addetti ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’Ispettorato non abbiano carattere di discontinuità. Il Ministero ha argomentato che la discontinuità è riferibile alle sole attività del personale addetto al carico/scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto a quanti sono adibiti al trasporto, “con esclusione delle altre attività, ivi comprese l’autista”.

A questa interpretazione non è di ostacolo la citata sentenza della Cassazione, la quale si è limitata a stabilire il principio secondo cui non è previsto, in capo alla contrattazione collettiva, alcun potere di interdire il ricorso all’intermittente, senza dunque affrontare la questione interpretativa del punto 8 della tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923.

 

INL - Circolare n. 1 del 8 febbraio 2021

 


Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell'autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.

 

 

Pubblicato: 19 Aprile 2021
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DIVIETO DI LICENZIAMENTO ED OBBLIGHI CONTRIBUTIVI

aula tribunale

  

Con riferimento alle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento, l’INPS con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021 ha fornito le indicazioni operative per quanto concerne gli obblighi contributivi a carico delle imprese. Ne prendiamo spunto per riepilogare le ultime disposizioni sull'argomento.

 

(di Manuela Gatto, Centro studi Aniv)

 

Una delle misure introdotte dal Legislatore per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 è stata l’introduzione del divieto di licenziamento individuale e collettivo. Si tratta di una previsione che, insieme al potenziamento degli ammortizzatori sociali, è diretta a preservare i posti di lavoro ed a contrastare la riduzione del personale in forza conseguente alla crisi economica in atto.

In origine l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia, come integrato e modificato dall’art. 80 del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio), ha previsto che a decorrere dal 17 marzo e fino al 17 agosto 2020:

  • fosse precluso l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
  • fossero sospese le procedure pendenti di cui sopra avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;
  • fossero preclusi i recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966;
  • fossero sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966.

In seguito, con l’art. 14 del D.L. n. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, il legislatore ha prorogato il blocco dei licenziamenti di cui sopra a decorrere dal 15 agosto 2020, seppur con una leggera attenuazione del vincolo; veniva stabilita, quale condizione necessaria per non incorrere nel divieto, che i datori di lavoro:

  • debbono aver integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 del medesimo decreto ovvero delle 18 settimane complessive collocate nel periodo compreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020;
  • oppure debbono aver integralmente fruito dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali.

Il D.L. n. 104/2020 ha introdotto, inoltre, rispetto ai precedenti decreti, la possibilità per il datore di lavoro di procedere legittimamente con i recessi, indipendentemente dall’integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale o dell’esonero contributivo nei seguenti casi tassativi:

  • licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività, con messa in liquidazione della società senza alcuna continuazione, anche parziale, dell'attività;
  • nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
  • licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.

Il D.L. 137/2020 (Decreto Ristori) ha prorogato il divieto di licenziamento fino al 31 gennaio 2021, applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo, superando dunque il meccanismo del “divieto mobile” introdotto dal Decreto Agosto, il quale legava il blocco dei licenziamenti alla disponibilità dell’ammortizzatore o degli sgravi .
E’ bene precisare che in ogni caso sono sempre stati estranei al divieto di licenziamento:

  • i licenziamenti disciplinari ossia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo;
  • i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;
  • i licenziamenti dei dirigenti;
  • i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova;
  • i licenziamenti dei lavoratori domestici;
  • i licenziamenti dei collaboratori coordinati e continuativi;
  • la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo.

L’Ispettorato nazionale del lavoro ha precisato inoltre, con la nota n. 298 del 24/06/2020, che rientra nella sospensione del licenziamento anche l’ipotesi della sopravvenuta inidoneità alla mansione.

Infine nell’intento di dare ulteriore continuità ai rapporti di lavoro nell’attuale fase di emergenza da Covid-19, la Legge di Bilancio 2021 (Legge 30 dicembre 2020, n.178) è intervenuta nuovamente in materia di licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo.
In particolare, i commi 309 e 310 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2021 estendono, fino al 31 marzo 2021, il periodo entro il quale resta preclusa ai datori di lavoro la possibilità di avviare le procedure di licenziamento collettivo e di esercitare la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, salvo specifiche eccezioni.

Nello specifico, la Legge di bilancio 2021 prevede il divieto di:

  1. avviare le procedure di licenziamento collettivo, previste dagli articoli 4, 5 e 24, della Legge n. 223/1991;
  2. concludere eventuali procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020;
  3. procedere a licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo;
  4. avviare procedure di conciliazione obbligatoria, previste dall’articolo 7 della Legge n. 604/1966, previsti unicamente per i lavoratori a tutele reali (lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 in aziende con organico superiore alle quindici unità) per i quali l’azienda voglia procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Per quanto riguarda le procedure di licenziamento collettivo, è prevista una eccezione nell’ipotesi in cui i dipendenti interessati al recesso risultino impiegati in un appalto che ha subìto un cambio di appaltatore, il quale, in forza di una norma di legge , di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola prevista all’interno dello stesso contratto di appalto, è obbligato a riassumere il personale in forza al momento del subentro.

Il successivo comma 311 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2021 estende, fino al 31 marzo 2021, le deroghe alle preclusioni in materia di licenziamento, introdotte dall’art. 14, comma 3, D.L. n. 104/2020 e confermate successivamente dall’art. 12, comma 11, D.L. n. 137/2020. Pertanto, ai sensi del suddetto comma 311, le preclusioni e le sospensioni in materia di licenziamenti non si applicano ed quindi è possibile procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro nelle seguenti ipotesi:

  1. licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c);
  2. in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nei casi in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso;
  3. nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.

In quest’ultimo caso la procedura deve rispettare le seguenti condizioni:

  • la controparte deve essere rappresentata dalle OO.SS. territoriali e non dalle rappresentanze aziendali (RSA/RSU);
  • deve essere previsto un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro che l’azienda dovrà corrispondere ai lavoratori aderenti alla procedura;
  • l’accordo deve prevedere una adesione dei singoli lavoratori e non un licenziamento unilaterale. L’adesione deve essere certificata da un accordo individuale in sede cd. «protetta» (principalmente dalla Commissione di conciliazione presso l’ITL o in sede sindacale);
  • per i lavoratori è riconosciuto il trattamento di NASpI (previsto dall'articolo 1, del d.lgs. n. 22/2015,) anche nel caso in cui l’accordo preveda la risoluzione consensuale;
  • il lavoratore, nella domanda di NASpI, dovrà allegare l’accordo collettivo aziendale e l’accordo individuale di adesione;
  • l’azienda dovrà corrispondere il ticket licenziamento.

L’eventuale violazione al divieto di licenziamento comporta la nullità del licenziamento stesso e la reintegra del lavoratore, così come disciplinato dall’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 23/2015, per i lavoratori a tutele crescenti, e dall’articolo 18 della legge n. 300/1970, per i lavoratori a tutele reali.

Con riferimento alle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento, l’INPS con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021 ha fornito le indicazioni operative per quanto concerne gli obblighi contributivi a carico delle imprese che procedono in tal senso.

 

Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento - Obblighi contributivi

 

Dal 15 agosto 2020 le interruzioni del rapporto di lavoro intervenute a seguito di accordo collettivo aziendale dovranno essere esposte nel flusso Uniemens indicando il nuovo codice Tipo cessazione “2A”, avente il significato di: “Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

Inoltre, il datore di lavoro è tenuto al versamento del c.d. ticket di licenziamento. Ciò in quanto, in applicazione dell’art. 2, comma 31, della Legge 92/2012, i datori di lavoro sono tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato generi in capo al lavoratore il teorico diritto all’indennità NASpI, a prescindere dall’effettiva fruizione della stessa.

Il contributo, interamente a carico del datore di lavoro, deve essere versato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro.

L’Istituto specifica che per quanto attiene alle cessazioni intervenute precedentemente alla pubblicazione del messaggio in oggetto, il datore di lavoro è tenuto all’assolvimento dell’obbligo contributivo entro e non oltre il termine di versamento della denuncia del mese di marzo 2021, senza applicazione di ulteriori oneri.

In merito poi alla revoca di licenziamento, come noto, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del pluricitato Decreto Agosto, il datore di lavoro poteva revocare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, già intimati alla data di entrata in vigore della norma o intimati nel corso dell’anno 2020, a condizione che lo stesso inoltrasse contestualmente richiesta di trattamento di integrazione salariale di cui agli artt. da 19 a 22-quinques del D.L. 18/2020, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.

Successivamente, la L. 126/2020, di conversione in legge del Decreto Agosto, entrata in vigore il 14/10/2020, ha abrogato il comma 4 e pertanto la revoca dei licenziamenti è stata possibile dal 15 agosto 2020 (data di entrata in vigore del D.L. 104/2020) al 13 ottobre 2020.

L’INPS chiarisce quindi che il rapporto di lavoro deve considerarsi sospeso per il periodo che intercorre tra la data del licenziamento e la data della sua revoca e per tutta la durata dell’integrazione salariale, al termine della quale decorrono nuovamente gli obblighi contributivi in capo al datore di lavoro.
Il messaggio precisa inoltre che durante i periodi di integrazione salariale ordinaria o in deroga ovvero di assegno ordinario, le quote di TFR maturate restano a carico del datore di lavoro.

I datori di lavoro soggetti alla disciplina del Fondo di Tesoreria, pertanto, devono versare al predetto Fondo le quote di TFR maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale.

Tenuto conto che, per espressa disposizione normativa, alla revoca del licenziamento ai sensi dell’articolo 14, comma 4, del D.L. n. 104/2020, si applica una disciplina in deroga a quella ordinaria (prevista dall’art. 18, comma 10, della legge n. 300/1970) e che il legislatore ha precisato che “...il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro...”, il datore di lavoro tenuto a versare al Fondo di Tesoreria la contribuzione afferente ai periodi pregressi (ossia le quote di TFR maturate dalla data del licenziamento alla data del ripristino del rapporto di lavoro e incrementate della rivalutazione ai sensi dell’articolo 2120 c.c.) è esonerato dal versamento degli oneri aggiuntivi.

I datori di lavoro che non abbiano adempiuto al suddetto obbligo sono tenuti al versamento delle quote di TFR – maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale richiesto ai sensi del comma 4 dell’articolo 14 del D.L. n. 104/2020 – entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella di pubblicazione del messaggio 528, senza applicazione di ulteriori oneri.
Resta fermo che, per i datori di lavoro tenuti al versamento al Fondo di Tesoreria, l’obbligo contributivo permane secondo le ordinarie scadenze durante i periodi di integrazione salariale non connessi alla fattispecie oggetto del succitato messaggio.

Infine, a seguito della revoca, viene meno l’obbligo del datore di lavoro di versamento del c.d. ticket di licenziamento. Pertanto, i datori di lavoro che hanno assolto l’obbligo di versamento, in conseguenza dell’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avranno diritto al recupero dell’importo versato.

Per il recupero del c.d. ticket di licenziamento eventualmente versato, i datori di lavoro dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni (Uniemens/vig) secondo le consuete modalità.

 


Pubblicato: 26 Febbraio 2021
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La nuova disposizione per le norme imperfette: Circolare INL 5/2020 e Nota INL del 15.12.2020

 

(di Anna Rita Caruso, Centro studi Aniv)

 

  • In che cosa si differenzia la nuova disposizione rispetto a quella precedente?

La nuova disposizione modificata dall’art. 12 bis del D.L. n. 76/2020, Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, convertito in legge n. 120/2020, si differenzia dalla vecchia disposizione dell’art. 14 del d.lgs n. 124/2004 perché ha un’immediata applicabilità e consente agli ispettori del lavoro di intervenire in situazioni irregolari per le quali non sono previste sanzioni penali ed amministrative. Nella precedente disciplina l’ispettore imponeva in capo al datore di lavoro un obbligo nuovo-specifico, genericamente disposto dalla legge (Circ. 24/2004), ma lo strumento appariva piuttosto limitato perché l’ispettore doveva individuare obblighi legislativi generici ed intervenire. Ad esempio, si poteva utilizzare la disposizione per imporre al datore di eliminare l’insegna recante attività non esercitabili ex art. 1 della legge 12/1979, oppure si poteva imporre al datore di effettuare la comunicazione al Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro del nominativo del professionista abilitato; inoltre l’ispettore poteva altresì imporre al datore un sistema di rilevazione delle presenze per controllare riposi/pause.

  • Perché si parla di maggior trasparenza nella nuova disposizione? Cosa vuol dire che l’ispettore interviene nelle norme imperfette?

Perché nella precedente disciplina l’ispettore partiva da situazioni irregolari che erano normate genericamente e in questo modo ampliava la propria discrezionalità per sanare situazioni non conformi, qui invece l’ispettore non esercita un potere creativo, ma interviene su obblighi già normati in capo al datore che però non sono sanzionati con norme penali ed amministrative (norme imperfette).

  • E’ vero che con questo nuovo potere di disposizione i controlli ispettivi diventeranno più invasivi?

Assolutamente no, infatti ci sono nel nostro ordinamento lavoristico moltissime norme legislative e contrattuali prive di sanzione, ma che prescrivono comportamenti già regolamentati da tempo fra le parti ed è proprio in questo contesto che si inserisce la nuova disposizione. Nulla di nuovo quindi, ma solo uno strumento per rendere effettiva la legislazione e i contratti vigenti privi di sanzioni penali ed amministrative.

  • Con la nuova disposizione l’ispettore può creare-specificare obblighi non previsti da leggi o contratti?

No, con la nuova disposizione l’ispettore non potrà più specificare obblighi generici, ma potrà solo agire in fattispecie già regolate da norme e contratti ma sprovviste di relativa sanzione (norme imperfette).

  • Quali sono gli ispettori del lavoro che possono imporre questa disposizione?

Tutti gli ispettori INL, INPS e INAIL, posto che l’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 149/2015 affida loro, in generale, i poteri già assegnati al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  • Ma in sintesi quando l’ispettore può intervenire con una disposizione? Sono previsti anche casi di spettanze retributive?

In tutti quei casi in cui c’è violazione di un obbligo legislativo e contrattuale sprovvisto di sanzione amministrativa e penale. Sono da ritenersi escluse le obbligazioni di natura patrimoniale, per il cui adempimento appaiono molto più utili altri strumenti come la diffida accertativa o la conciliazione monocratica.

  • Nel caso di violazione di obblighi contrattuali l’ispettore può applicare sempre la disposizione? Sia per gli obblighi presenti nella parte normativa che per quelli presenti nella parte economica del CCNL?

Il riferimento agli obblighi contrattuali violati deve essere interpretato solo in relazione alla parte normativa ed economica del CCNL; deve invece escludersi, fatte salve le ipotesi già valutate positivamente, il riferimento alla parte obbligatoria dei CCNL (cfr. circolari INL nn. 9/2019 e 2/2020).

  • Ma allora quali sono concretamente i casi in cui l’ispettore può intervenire con disposizione? Esiste un elenco non esaustivo?

L’INL con nota del 15 dicembre 2020 ha fornito un elenco non esaustivo, fra cui semplificando avremo: 1) Mancato aggiornamento di ferie, permessi, Rol, banca ore; 2) Mancato pagamento delle indennità previste in caso di fruizione di permessi art. 33 legge 104/1992 e congedo straordinario; 3) Discriminazioni di natura sindacale-politica-religiosa-razziale; 4) Adozione del sistema di rilevazione delle presenze; 5) Annullamento di una comunicazione al CPI, variazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time; 6) Mancata individuazione nel contratto di lavoro delle fasce orarie o dei turni di lavoro, nonché mancato rispetto delle previsioni contrattuali circa la collocazione oraria delle prestazioni dei part-timer; 7) Mancato rispetto dei tempi di preavviso contrattuali nel lavoro intermittente; 8) Disposizioni in ambito cooperativistico; 9) Mancato rispetto della rotazione dei lavoratori da porre in CIG o in CIG in deroga; 10) Violazione dei limiti legali relativi al trasferimento o al distacco del lavoratore; 11) Mancato versamento da parte del datore di lavoro delle quote di TFR maturate dal lavoratore che abbia aderito ai fondi di previdenza complementare; 12) Riduzione del periodo di apprendistato sulla base delle previsioni contrattuali; 13) Mancata attribuzione dei permessi per i lavoratori studenti; 14) Mancata attribuzione dei congedi per la formazione, previsti e finalizzati al completamento della scuola dell'obbligo e al conseguimento di titoli di studio; 15) Diritto del lavoratore a riposi, congedi o permessi in occasione di particolari eventi (ad es. per motivi di studio, per matrimonio, per gravi motivi familiari, allattamento, operazioni elettorali, permessi ex L. 104/1992); 16) Mancata concessione alle lavoratrici madri del part time post partum; 17) Mancato rispetto dei tempi di pausa; 18) Disposizione impartita con riferimento alla fruizione delle ferie ad ore non consentita dalla legge o dalla contrattazione collettiva; 19) Mancata formazione dell’apprendista salvo il caso in cui ciò non comporti un obbligo per il personale ispettivo di procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro; 20) Omessa consegna del CUD; 21) Conservazione delle presenze mensili del personale dipendente occupato per la durata di 5 anni dalla data dell’ultima registrazione, con obbligo di custodia nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003).

  • Se ad esempio come ispettore non posso sanzionare il mancato rispetto dei riposi per le guardie giurate perché il settore è escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs 66/2003 (come per molti altri settori), posso allora utilizzare la disposizione per imporre il rispetto dei riposi contrattuali? Insomma posso utilizzare la disposizione per imporre il rispetto dei tempi di lavoro/riposo per tutti quei settori esclusi dal d.lgs 66/2003?

Certo, come chiarito dalla Circolare INL 1062 del 30.11.2020, si può utilizzare il nuovo potere di disposizione per indurre il datore di lavoro al rispetto degli obblighi contrattuali. Per analogia la disposizione per il rispetto dei tempi di lavoro/riposo può essere utilizzata per tutti i settori esclusi dal d.lgs 66/2003 purché abbiano una fonte contrattuale collettiva (non individuale).

  • Cosa succede se come datore di lavoro non ottempero alla disposizione? Quali altre misure possono accompagnare la disposizione?

La conseguenza prevista per l’inosservanza del provvedimento è una sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro. Il termine per adempiere viene fissato dall’ispettore in base alla tipologia di obbligo, secondo un criterio di adeguatezza e proporzionalità.

Laddove il datore di lavoro non ottemperi alla disposizione e non opponga ricorso, come pure nel caso in cui venga rigettato il ricorso proposto, ferma restando l’adozione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 124/2004, si potrà procedere alla emanazione delle diffide accertative, ove ne ricorrano i presupposti, oppure previo esperimento di ulteriori approfondimenti in ordine alla quantificazione dei diritti patrimoniali di ciascun lavoratore.

  • Che rapporto c’è tra la nuova disposizione disciplinata dall’art. 12 bis del D.L. n.  76/2020 e la disposizione di cui agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/1955 in materia di prevenzione infortuni e norme obbligatorie per le quali sia attribuito dalle singole leggi all’ispettore un apprezzamento discrezionale?

La mancata ottemperanza alla disposizione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955, impartita in relazione alla materia infortunistica o in relazione ad altre norme per le quali è previsto un “apprezzamento discrezionale” da parte dell’ispettore, sono punite con la sanzione amministrativa da 515 a 2.580 euro ovvero con la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino a 413 euro se l’inosservanza riguarda disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro in materia di sicurezza o igiene del lavoro. In questo senso la nuova disposizione si somma a quelle già esistenti senza abrogarle o modificarle.

  • Sono un datore di lavoro, come faccio a far ricorso contro la nuova disposizione e quanto tempo ho per impugnare? Se ricorro contro il provvedimento, sospendo l’esecutività della disposizione?

Non vi sono novità rispetto agli strumenti della vecchia disposizione, è previsto il ricorso del datore di lavoro entro 15 giorni al Direttore dell’Ispettorato che deciderà entro i successivi 15 giorni, decorso tale termine vige il silenzio-rigetto. Il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione.

Appare sempre azionabile il ricorso giudiziale al TAR competente per territorio ove potranno essere sollevate questioni riguardanti i profili di legittimità del provvedimento.

 


Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell'autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.

 

 

Pubblicato: 21 Febbraio 2021

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