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CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza n. 18004 del 04-07-2019
Solidarietà contributiva negli appalti - Termine di decadenza biennale di cui all'art. 29 del D.Lgs. 276/2003 - Non si applica all'azione degli Enti previdenziali, soggetta alla sola prescrizione quinquennale.
(di Simona Di Cerbo, Centro studi Aniv)
Con la sentenza del 4 Luglio 2019 n. 18004 la Suprema Corte è intervenuta nella materia della solidarietà contributiva negli appalti, sancendo il principio secondo cui il termine di decadenza biennale, contemplato dall'art. 29, comma 2, del D.Lgs. 276/2003, non è applicabile all'azione promossa dagli Enti previdenziali, essendo la stessa soggetta alla sola prescrizione quinquennale.
In buona sostanza secondo i Giudici di Legittimità - che hanno guardato ad una interpretazione sistematica dei principi ordinamentali attraverso una esegesi della ratio legis che sottende il sistema stesso della tutela previdenziale – l’efficacia del termine decadenziale de quo non può estendersi anche a soggetti terzi, nella fattispecie l’Inps, i cui diritti pur traendo origine dal rapporto di lavoro (si sottraggono al termine di decadenza biennale e) restano soggetti esclusivamente al termine di prescrizione quinquennale. Ciò in quanto l’obbligo contributivo e quello retributivo rispondono ad una funzione diversa e sono distinti per natura, ambito di applicazione e rilevanza sociale.
Con una visione d’insieme della tutela previdenziale, la Corte sancisce altresì il concetto per cui la finalità della pretesa contributiva è volta alla soddisfazione di un interesse indiretto del lavoratore, ma che è interesse diretto della collettività, per il finanziamento del sistema previdenziale.
Fatto.
Avverso verbale ispettivo notificato il 6 luglio 2011 – con il quale si era affermata la responsabilità solidale ex art. 29 comma 2 del D.Lgs. n. 276 del 2003 per l’omissione contributiva perpetrata da una cooperativa (cui la ricorrente aveva appaltato dei servizi) – viene proposto ricorso innanzi al Tribunale di Pinerolo, al fine di far accertare l'infondatezza della pretesa contributiva avanzata dall'Inps.
Il Giudice di prime cure, rigettando la domanda riconvenzionale proposta dall’Istituto, accoglie il ricorso.
Avverso la decisione di primo grado, l’INPS propone appello, respinto con sentenza n°265/2015 emessa dalla Corte d’Appello di Torino.
In particolare la Corte, nel confermare la decisione del Giudice di prime cure, ribadisce l'inefficacia del verbale di accertamento sulla base del fatto che, al momento della notifica della memoria contenente la domanda riconvenzionale avanzata dall’INPS, era già decorso il termine di due anni (dalla cessazione dell'appalto) previsto per la operatività della solidarietà di cui all'art. 29 del D.Lgs n. 276 cit., posto che tale termine poteva essere interrotto solo dall'attività giudiziale.
Avverso la suddetta sentenza ricorre innanzi alla Suprema Corte l’INPS, deducendo due motivi di doglianza.
Con il primo motivo l'INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 29, comma 2 (come modificato prima dall'art. 6, commi 1 e 2, d.lgs. n. 251 del 2004 e poi dall’art.1, comma 911 Legge n. 296 del 2006 e dell'art. 1676 c.c.), nella parte in cui si è ritenuto che il termine di decadenza si applichi anche all'INPS e non ai soli lavoratori. Tanto, senza considerare che l'INPS, nell'esercizio dei poteri d'ufficio, non può decadere, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi a proposito dell'art. 4 della legge n. 1369 del 1960 (su cui Cassazione, sentenza n. 996 del 2007).
Con il secondo motivo, subordinato rispetto al primo, l’Istituto deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 29, comma 2 (e successive modifiche), laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto che la decadenza, ove ritenuta sussistente, si possa evitare solo con l'introduzione di un giudizio.
La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione di secondo grado e in accoglimento del primo motivo di doglianza, cassa con rinvio la sentenza impugnata, sancendo la non applicabilità del termine biennale di decadenza ex art. 29 comma 2 D.Lgs 276 all'azione di recupero della contribuzione da parte degli Enti previdenziali.
Diritto.
I Giudici di Legittimità hanno accolto il ricorso ritenendo fondato il primo motivo di doglianza proposto dall’INPS.
La Corte, partendo da una esegesi storica della norma, rammenta che fin dalla sua entrate in vigore l'articolo 29 secondo comma D.Lgs 276/2003, nonostante le varie modifiche succedutesi nel tempo, sia rimasto incentrato sulla previsione di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore; ciò al fine di rafforzare l'adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali.
Ed, invero, il Giudice delle Leggi si sofferma, in premessa, sulla ratio garantista che sottende la norma de qua, nella misura in cui la stessa assicura ai lavoratori il pagamento del trattamento retributivo e contributivo correlato al periodo del rapporto lavorativo coinvolto dall'appalto.
La Corte evidenzia, sul punto, che l'art. 29 comma 2 cit., nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D. L. 5/2012 (convertito con modif. in L. n. 35 del 2012, e dalla Legge n. 92 del 2012), non prevedeva un regime di sussidiarietà bensì un’obbligazione solidale del committente con l’appaltatore per il pagamento dei trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti al dipendente. Tanto ad evidenziare la ratio legis, intesa appunto ad incentivare un uso virtuoso del contratto di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori affidabili, onde evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione potessero operare in danno del lavoratore.
Ebbene, secondo la Corte proprio in considerazione di tale premessa, l’art.29 comma 2 cit., con riferimento alla obbligazione contributiva dell'appaltante chiamato in via di solidarietà, si presta a due possibili interpretazioni.
Una prima, secondo la quale si tratterebbe di una particolare obbligazione contributiva che, pur legittimando il solo Ente previdenziale alla pretesa - posto che il lavoratore non può certo ricevere i contributi- sia del tutto conformata alla speciale azione riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due anni.
Una seconda che, proprio dall'assenza nell'art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, di espresse regole relative alla pretesa contributiva ed in considerazione della diversa natura delle due obbligazioni, induce a ritenere applicabile alla fattispecie la disciplina generale dell'obbligazione contributiva che non prevede alcun termine di decadenza per l'esercizio dell'azione di accertamento dell'obbligo contributivo, soggetto solo al termine prescrizionale.
Questa seconda è la tesi prescelta con la sentenza de qua.
In buona sostanza, e a fondamento della propria decisione, la Suprema Corte deduce e ribadisce il concetto secondo cui l’obbligazione retributiva e l’obbligo contributivo vanno tenuti distinti: il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quanto tra loro connessi, rimangono del tutto diversi.
A rafforzare l’idea, La Corte chiarisce espressamente che l'obbligazione contributiva, sussistente in capo all’INPS, deriva direttamente dalla legge. Essa è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva, ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (c.d. "minimale contributivo").
In buona sostanza la Corte sottolinea la rilevanza sociale dell’obbligazione contributiva, che risponde all’interesse diretto della collettività, quale è il finanziamento del sistema previdenziale: e su questo interesse diretto, protetto dalla Legge, poggia e riposa la connessione immanente tra la retribuzione dovuta e la pretesa impositiva dell’Ente previdenziale.
Se questa, dunque, è la natura dell’obbligazione contributiva, si deve ritenere non coerente con questo impianto normativo la possibilità della corresponsione della retribuzione che non sia seguita anche dal soddisfacimento dell’obbligo contributivo, soltanto perché l’Ente non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell'appalto. In tal modo, a dire della Corte, si spezzerebbe senza alcuna plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra retribuzione dovuta ed adempimento dell'obbligo contributivo, con conseguente vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l'art. 29 cit. ha voluto potenziare.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione afferma il principio secondo cui il termine di due anni previsto dall’art. 29 comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003 non è applicabile all'azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione quinquennale (di cui alla Legge 335/1995).
Per l’effetto, la soddisfazione dell'obbligazione retributiva nel termine biennale deve essere seguita dalla soddisfazione di quella contributiva, a prescindere dalla mancata attivazione del credito in via giudiziale, entro due anni, da parte dell'INPS.