La funzione di prevenzione dell’attività ispettiva

di Domenica Cori, Funzionario di vigilanza Inps di Cuneo

1. Introduzione

In questo articolo si intende proporre una riflessione sul ruolo dell’attività ispettiva di vigilanza e in particolare sull’effetto di compliance cui essa deve tendere. In una attività ispettiva che si proponga di essere moderna, infatti, l’ispettore deve porsi non più soltanto obiettivi di controllo e contrasto ex post degli inadempimenti in materia di diritto del lavoro, inteso in senso esteso, ma deve focalizzarsi su azioni di prevenzione ex ante. In tale ottica l’obiettivo di recupero contributivo non dovrà essere più inteso in una prospettiva ristretta, come le somme recuperate attraverso le attività di accertamento e controllo, ma in una visione estensiva che inglobi l’incremento della compliance dei soggetti destinatari degli obblighi in materia di lavoro, ovvero quelle somme derivanti da adempimento spontaneo degli stessi.

Ma come indurre al corretto adempimento contributivo i soggetti destinatari delle norme di lavoro? Si tratta di una domanda cruciale che involge lo stesso ruolo delle norme e dell’attività ispettiva e che è sempre più di stretta attualità, come dimostrano, gli obiettivi, anche e in primo luogo preventivi, della Direzione Centrale Vigilanza Prevenzione e Contrasto all’Economia Sommersa del nostro Istituto e ad esempio gli approfondimenti e i progetti che l’Agenzia delle Entrate e il Dipartimento delle Finanze hanno avviato e pubblicizzato negli ultimi anni e che possono essere riassunti nello slogan: “meno deterrenza e più compliance”. Riflettere di efficacia di prevenzione generale oggi è tanto più necessario in considerazione delle novità legislative che hanno ad oggetto la nostra attività e che sono connesse alla nascita dell’Ispettorato nazionale del Lavoro. Interrogarsi sulla nostra funzione è infatti strettamente connesso alla fiducia e alla capacità di rinnovamento e progettualità che ogni nuovo inizio richiede e va di pari passo con una nuova legittimazione del nostro ruolo. A tal fine prenderemo le mosse, in primo luogo, dalla nozione di prevenzione e di compliance, passando poi a proporre strategie concrete per un’attività ispettiva preventiva. Ma come è possibile misurare l’efficacia deterrente di una sanzione o l’effetto di compliance indotto? La tematica della verifica dell’efficacia delle sanzioni ha occupato da sempre, in particolare, i penalisti che interrogandosi sulle funzioni della sanzione per antonomasia: quella penale, hanno esaminato empiricamente, l’efficacia deterrente della stessa. I risultati di tali studi possono essere generalizzati al fine di un’azione ispettiva sempre più efficace. Si tratta di temi a me cari, essendo stati oggetto della mia tesi di laurea in Criminologia e a cui torno volentieri, convinta che la prevenzione, come vedremo, intesa in un’accezione positiva, debba fondare un’attività ispettiva che sappia porsi come obiettivo la compliance ovvero l’osservanza spontanea e generalizzata delle norme, in quanto condivise.

2.1 La nozione di prevenzione generale

Che cosa si intende per prevenzione? Con questo termine, in un significato ampio, ci si riferisce ad ogni attività individuale o di gruppo, pubblica o privata, che miri ad impedire la realizzazione di comportamenti antidoverosi. Esistono diversi tipi di classificazione della prevenzione. Ad esempio, si distingue sulla base del modello medico, fra prevenzione primaria che mira ad eliminare o ridurre, nel concreto, le opportunità di violazioni; prevenzione secondaria, indirizzata più specificatamente ai soggetti destinatari della disciplina cui si vuole garantire l’osservanza e la prevenzione terziaria nei confronti di chi è stato già protagonista di una violazione. Per prevenzione generale (definita general deterrence da parte della dottrina anglosassone) si intende, invece, secondo la definizione divenuta ormai classica: “la prevenzione di comportamenti socialmente indesiderati attraverso la minaccia di una sanzione legale”. In quest’ottica, l’intervento punitivo dello Stato si giustificherebbe per gli effetti deterrenti che normalmente accompagnano le sanzioni irrogate, le quali, quindi, seppur direttamente rivolte ad un soggetto, sono indirizzate all’intera collettività. Si tratta della c.d. prevenzione generale negativa o deterrenza, che applica all’analisi del comportamento dei soggetti il calcolo economico dell’utilità. Secondo tale modello, ogni soggetto opererebbe, prima di agire, un bilanciamento dei vantaggi e svantaggi connessi alla sua scelta, rinunciando al comportamento contrario alla norma, qualora la rappresentazione mentale degli svantaggi superi l’aspettativa dei probabili guadagni. Nei tempi più recenti, come vedremo, la crisi della deterrenza, ha portato alla valorizzazione della c.d. prevenzione generale positiva ossia della funzione “moralizzatrice” ed “educativa” della sanzione. Giova sottolineare, fin da subito, che questi effetti di “socializzazione” delle sanzioni richiedono evidentemente tempi più lunghi, ma una volta raggiunti, restano più stabili rispetto alla semplice intimidazione, poiché, come è stato autorevolmente affermato, “la legislazione di una generazione può diventare la morale della successiva”.

2.2 La prevenzione generale negativa

Per capire perché si debba tendere alla prevenzione c.d. positiva, è necessario soffermarci inizialmente sulla teoria della prevenzione generale, fondata sulla deterrenza, la quale ha alle sue fondamenta il pensiero di Anselm Feuerbach, il teorico della coazione psicologica. Secondo il filosofo, che riprende la concezione psicologica empirista, lo L’Ispettore e la Società 23 Stato, per ridurre i comportamenti antidoverosi, dovrebbe agire sulle sensibilità, contrapponendo agli impulsi sensibili, contrari al diritto, altre spinte sensibili. In altre parole, la coazione psicologica non sarebbe altro che una forma di influenza sulla psiche che distoglie la generalità dei cittadini, con la minaccia della pena, dal violare il diritto. Un tale freno sarebbe possibile qualora il timore della sanzione sia maggiore del dispiacere derivante dal mancato conseguimento del vantaggio connesso all’azione contraria alla legge. Tale concezione è stata ripresa, anche recentemente, dagli studiosi che, riconducendo all’economia ogni realtà sociale, hanno concluso come un soggetto si decida per l’azione contraria alla norma se e solo se il “beneficio netto” che si aspetta di conseguire superi il costo della sanzione attesa e in relazione alla probabilità di essere scoperto. Tuttavia, affinché la sanzione esplichi tale ruolo sono richiesti due presupposti: non solo la stessa deve essere posta come conseguenza necessaria dell’azione criminosa (minaccia legale), ma soprattutto deve essere concretamente inflitta (esecuzione). Solo così le sanzioni legali si comporterebbero come deterrenti atti ad impedire la commissione di violazioni. Il senso comune sembra confermare tale concetto, basti pensare alla riduzione della velocità alla vista di una pattuglia stradale. Verrebbe da concludere, pensando alla nostra materia, che, da un parte, un aumento delle sanzioni, ad esempio per lavoro nero, dovrebbe comportare una riduzione del ricorso all’impiego di manodopera non regolarizzata; dall’altra, un verbale con un grosso recupero potrebbe avere un valore esemplare per le altre aziende del settore, trattenendole dal commetterle la medesima violazione. In realtà, va osservato che gli studi empirici sull’ argomento, pur nella incertezza di ogni ricerca sul tema, hanno dimostrato come tale conclusione sia estremamente semplicistica. Al fine di testare la correlazione fra severità e numero dei reati i ricercatori, con studi trasversali, hanno infatti, ad esempio, confrontato i tassi di reati di Paesi dove vige la sanzione in assoluto più severa di tutto l’ordinamento giuridico, la pena di morte, rispetto ai Paesi abolizionisti. Le suddette ricerche empiriche non solo non hanno provato l’atteso effetto deterrente della pena capitale, ma addirittura hanno riscontrato un effetto di c.d. “brutalizzazione”, cioè l’aumento degli omicidi nel periodo successivo ad un’esecuzione capitale 24 L’Ispettore e la Società pubblicizzata. Se si considera la materia del diritto del lavoro quindi la politica della tolleranza zero può non portare i risultati attesi. In generale, tutti gli studi sulla deterrenza hanno dimostrato, infatti, la fallacia di una correlazione fra severità della pena e riduzione del numero delle violazioni. Questo perché, come è intuitivo, vi sono altri fattori, oltre la gravità della stessa, che interagiscono sulla efficacia deterrente di una sanzione. Segnatamente le indagini empiriche hanno concluso che è soprattutto la certezza dell’esecuzione della sanzione prevista ad avere il maggior impatto deterrente. L’esempio dei fumatori che non smettono di fumare, perché considerano la probabilità di una malattia come un’eventualità incerta e lontana, ma smetterebbero subito, se il fumo provocasse l’indomani una morte certa, rende chiaro il concetto. In tale ottica, in mancanza di certezza della pena, sentenze piuttosto severe come quelle comminate negli Stati Uniti, con la convinzione che possano avere un effetto deterrente, sarebbero solo la causa di un più alto livello di recidiva per il sentimento di ingiustizia e alienazione che è causato dalla consapevolezza di un basso livello di certezza della pena. Anche gli studi longitudinali che analizzano le variazioni del numero dei reati in relazione ai cambiamenti del quadro normativo, hanno riscontrato come gli effetti deterrenti di un intervento legislativo che aumenti le sanzioni siano limitati nel tempo. Più specificatamente l’effetto è soltanto transitorio e si estende finché non ci si accorga, con l’esperienza, dell’inefficacia della legge stessa ovvero come la probabilità di essere scoperti rimanga notevolmente bassa. In altri termini, i potenziali trasgressori inizialmente tendono a sovrastimare l’incremento del rischio derivante dalla modifica legislativa e l’efficacia deterrente declina nel momento in cui si rendono conto di essersi ingannati. In realtà, ai fini dell’efficacia deterrente di una legge, se la certezza sembra la variabile più rilevante, rispetto alla severità, tale effetto deterrente è generalmente inferiore a quello atteso. Come hanno dimostrato gli studi c.d. soggettivi, l’efficacia deterrente è infatti influenzata dalla percezione soggettiva del singolo che varia da individuo ad individuo ed è correlata ad altre componenti come la dimensione morale, l’educazione, le sanzioni informali: come la vergogna e l’imbarazzo, la percezione della legittimità dell’ordinamento e la fiducia nei confronti degli apparati di controllo. In tale ottica, si possono distinguere soggetti che sono sensibili alla minaccia di sanzioni, individui che non lo sono e altri che non commetterebbero in alcun caso delle violazioni. Capire quali fattori comportino tale differenze e valorizzarli è l’oggetto degli studi sulla prevenzione generale c.d. positiva, sulla quale ci soffermeremo nel prossimo paragrafo.

2.3 La prevenzione generale positiva e la compliance

Gli studiosi sono concordi nel sottolineare come un sistema normativo più mite, percepito come giusto e coerente, produca effetti deterrenti più forti di uno più severo, ma che dia una impressione di incoerenza ed arbitrarietà. In altri termini il prestigio della legge in correlazione con l’onestà, imparzialità e integrità delle istituzioni sociali è fondamentale ai fini dell’identificazione dei cittadini con il sistema di valori che l’ordinamento giuridico protegge. Si tratta di conclusioni cui sono giunti gli studiosi della deterrenza i quali hanno osservato una netta prevalenza dell’efficacia preventiva delle variabili del “controllo interno” (persuasione soggettiva della legittimità del divieto, autorevolezza morale del divieto, attaccamento al sistema dei valori, disapprovazione sociale) rispetto a quelle del “controllo esterno” (sanzioni severe). In tale ottica l’efficacia general preventiva si gioca sul rafforzamento della fedeltà alle norme, incrementando la percezione della legittimità del sistema, piuttosto che sull’inasprimento delle sanzioni al fine di rafforzare la compliance. Ma cosa si intende per legittimità? Essa può essere definita come “la facilità o la difficoltà con cui le istituzioni sono capaci di far sì che i membri della società seguano leggi, norme e regole condivise”. Al fine di rafforzare la suddetta legittimità, gli studiosi che accolgono la visione c.d. positiva della prevenzione generale ritengono che si debba dare rilievo alle sanzioni informali, come la vergogna e l’imbarazzo, che colpiscono, rispettivamente, il soggetto che viola delle norme che ha interiorizzato e quello che è consapevole di avere infranto leggi approvate dalla comunità in cui vive. In altre parole, al fine preventivo, si dovrebbe trasformare il precetto legale in morale, definita, come tutto ciò che è fonte di solidarietà, capace di indurre il soggetto a reprimere impulsi egoistici inducendolo ad azioni che tengano conto anche di finalità generali. Non potendo influire sulle istituzioni familiari o su quelle politiche, occorre riflettere sul ruolo della Pubblica Amministrazione, in particolare, allorché operi attraverso i suoi ispettori. Questi ultimi infatti possono influire su tutti e tre gli orientamenti di fondo della teoria della prevenzione generale positiva che possono essere distinti in:

  1. La formazione e l’interiorizzazione di comportamenti conformi al diritto al fine di trasformare le norme di leggi in una morale condivisa, creando delle controspinte ulteriori rispetto alle sanzioni alle spinte devianti;
  2. La conferma delle vigenza delle norme e la fiducia nell’autorità dello Stato;
  3. L’effetto di “composizione” nell’accertamento della singola violazione, che mettendo in primo piano gli interessi delle persone coinvolte, e considerando la corresponsabilità sociale in ogni comportamento deviante media e sdrammatizza le situazioni conflittuali prodotte dalla violazione stessa, favorendo L’Ispettore e la Società 25 la riadesione a quei valori che fondano il nostro sistema.

3. Proposte per rafforzare la compliance con l’attività di vigilanza

Traendo le fila del discorso intendiamo proporre alcune strategie per una efficace e preventiva attività di vigilanza, consapevoli di come quest’ultima possa trarre nuova legittimazione nell’accogliere un modello fondato sul dialogo e il consenso. Potremmo distinguere una compliance c.d. primaria che si rivolge a tutti i soggetti destinatari delle norme, in una fase “fisiologica” dell’attività, da una compliance c.d. secondaria che si rivolge più in particolare, nella fase “patologica”, alle aziende oggetto di accertamento. In entrambe le prospettive l’ispettore assume un ruolo decisivo. E’ infatti l’ispettore a rapportarsi con le aziende sul territorio e ad interloquire con le stesse, sia quando viene interpellato con quesiti sull’interpretazione delle norme, ai fini del corretto adempimento contributivo, sia nel corso dell’attività di verifica connessa al singolo accertamento, riuscendo, ogni qualvolta, si istauri un clima collaborativo a rafforzare la percezione della legittimità delle verifiche e del sistema nel suo complesso. Inoltre è l’ispettore a conoscere il territorio e il tessuto economico, sociale e culturale, rendendo possibile non solo un’attività di contrasto, ma anche di prevenzione dei fenomeni evasivi ed elusivi della normativa di settore. Non si può non ricordare come la funzione dell’ispettore sarebbe agevolata da leggi chiare e semplici; viceversa leggi incerte rendono la prevenzione c.d. positiva molto difficile, impedendo la spontanea osservanza delle norme e provocando una sensazione di ingiustizia nel caso di irrogazioni di sanzioni. Gli studi hanno dimostrato come l’efficacia deterrente di una sanzione sia più alta qualora sia percepita come giusta e se irrogata, qualora vi sia stato il rispetto della persona nonché dei diritti procedurali, come, nel procedimento ispettivo, un contraddittorio effettivo e una motivazione chiara dell’addebito che prenda in considerazione tutte le circostanze della situazione, ad esempio con una riduzione delle sanzioni. Ma quali prassi possono essere suggerite, nel concreto, al fine di un’attività di vigilanza che punti alla compliance?

1. Poiché l’aspetto decisivo è rappresentato dall’interiorizzazione della norma, in un’ottica per cosi dire pedagogica, occorre rafforzare l’attività informativa sulle norme in materia di lavoro e previdenza, con particolare riferimento alle questioni di maggior rilevanza sociale, nonché alle novità legislative, spesso di difficile interpretazione, segnatamente nelle prime fasi applicative, focalizzandosi sulle finalità che si propongono le stesse. Devono quindi essere valorizzate, a tale fine, le campagne informative, ad esempio nelle scuole, le lettere alle aziende, ma soprattutto i contatti faccia a faccia per mezzo degli ispettori. Come è evidente, tale funzione informativa dell’ispettore, non può essere limitata al momento dell’accesso, essendo quello, come è evidente una condizione spazio temporale poco favorevole, allo scopo, ma nelle singole sedi provinciali, possono essere organizzati incontri di studio appositi nei confronti degli enti, associazioni e datori di lavoro e devono essere valorizzati gli interpelli in materia contributiva. Per rendere possibile l’attuazione di tali compiti tale attività deve essere statisticata ai fini della valutazione della prestazione degli ispettori;

2. Alla stregua dei compliance programs che hanno avuto un forte impatto preventivo, prevedendo una collaborazione fra società ed autorità nella scoperta e prevenzione dei reati societari, si potrebbero presentare progetti di collaborazione con le aziende, al fine di promuovere un rapporto aperto e trasparente atto a favorire l’adempimento spontaneo;

3. Poiché ai fini preventivi occorre enfatizzare il ruolo dei contribuenti onesti rispetto alla stigmatizzazione degli evasori dovrebbero essere valorizzati i premi per le aziende virtuose, ad esempio speciali certificazioni che aumentano i punteggi nei casi di partecipazione ad appalti, come già previsto in alcune discipline di settore;

4. Al fine di confermare la fiducia nelle Istituzioni è fondamentale puntare altresì sulla valorizzazione della percezione sociale del ruolo altamente professionale dell’ispettore, che non deve essere percepito come un esattore o un poliziotto. Campagne di sensibilizzazione potrebbero giocare un ruolo fondamentale a tale fine, diminuendo il clima di diffidenza al momento dell’accesso. Al suddetto scopo potrebbe essere utile predisporre delle interviste per valutare l’attuale percezione;

5. Poiché è la fiducia nella sua figura l’elemento chiave della prevenzione positiva, in particolare nel momento di esecuzione, la formazione degli ispettori deve essere continua perché l’ispettore deve essere posto in condizione di ricoprire il ruolo di un esperto autorevole della materia. Soltanto in tale modo infatti egli consolida il legame tra PA e aziende. Sempre in tale ottica nel caso in cui gli ispettori siano coinvolti in procedimenti civili e penali che vengono promossi, salvo casi eccezionali, al solo fine dilatorio delle procedure di riscossione dei crediti, è importante che l’Istituto tuteli, con ogni mezzo, il buon nome degli stessi e dell’intera categoria. I dubbi nella correttezza del loro operato, sollevati ad esempio dalle sospensioni cautelative nei loro confronti impattano, come è evidente, sulle stesse capacità preventive del sistema; 26 L’Ispettore e la Società

6. Ai fini di dare rilievo all’efficacia deterrente della componente della certezza si deve rafforzare la presenza sul territorio degli ispettori;

7. Inoltre, gli interventi ispettivi dovrebbero riguardare, tendenzialmente e nel limite del possibile, tutte le aziende del settore, sul territorio, per rafforzare il senso di equità degli interventi ispettivi;

8. Dagli esiti delle ricerche è emerso che la percezione soggettiva, come abbiamo predetto, sia fondamentale ai fini preventivi, pertanto poiché il procedimento possa essere percepito come giusto, è fondamentale l’empatia nei confronti dei soggetti ispezionati e il rispetto delle norme procedurali;

9. Parimenti, poiché anche il provvedimento conclusivo del procedimento possa essere percepito come giusto, è importante, ad esempio, la completezza dell’istruttoria e la chiarezza della motivazione;

10. Al fine di equità dell’addebito, dovrebbero poi essere previsti istituti che consentano una determinazione delle sanzioni civili sempre più “tagliata” sulle caratteristiche del singolo accertamento, nonché una definizione agevolata dello stesso, in considerazione della collaborazione fattiva della controparte;

11. Devono essere previsti studi costanti al fine di valutare gli effetti di compliance indotti, ad esempio nel soggetto che ha subito un controllo o alle altre aziende del territorio che operano nello stesso settore di quest’ultimo; ovvero in seguito alla mutua collaborazione con le aziende. Valutando gli impatti dell’attività ispettiva, anche in considerazione di variabili indipendenti come la congiuntura economica o la pressione fiscale, potrà esserci infatti una strategia di compliance sempre più efficace.

4. In conclusione

Senza pretese di esaustività, partendo dagli studi empirici sulla deterrenza, che hanno dimostrato fallaci le associazione fra severità delle sanzioni e diminuzione delle violazioni, si è cercato di condividere gli esiti più recenti degli studi sulla teoria della prevenzione generale, che come si è detto si polarizzano sulla interiorizzazione della norma in quanto sentita come giusta e si consolidano qualora ci si rapporti in modo collaborativo e non stigmatizzante, sia nella fase fisiologica (a carattere informativo sulla disciplina), sia in quella patologica (in fase di accertamento), col destinatario della stessa. Se si dovesse sintetizzare con una frase, il cuore della prevenzione non risiede quindi nelle sanzioni, ma nella forza sociale delle stesse. Prendendo atto di tali approdi, deve essere impostata una nuova politica di programmazione dell’attività ispettiva che si proponga di passare dal semplice contrasto all’evasione ad una fase che miri all’adempimento spontaneo delle aziende. Fulcro di questa evoluzione la valorizzazione del ruolo l’ispettore che, nel singolo territorio di competenza, è chiamato a rafforzare la relazione fiduciaria tra aziende e Amministrazione, determinando la compliance delle stesse. È questa la sfida della prevenzione, una sfida che merita di essere affrontata!