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AVVISI ------ Nell'area riservata sono disponibili gli ALLEGATI all'Agenda Aniv 2021 ----- Nell'area riservata sono stati pubblicati i numero 24 (anno 2020), 1 e 2 (anno 2021) della rivista PIANETA LAVORO E TRIBUTI. ----- Nell'area riservata è stata pubblicata la COMUNICAZIONE del Presidente del 18 gennaio 2021 ----- Nell'area riservata è stato pubblicato il numero 06 anno 2020 della rivista L'Ispettore e la Società. ----
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DIVIETO DI LICENZIAMENTO ED OBBLIGHI CONTRIBUTIVI

aula tribunale

  

Con riferimento alle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento, l’INPS con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021 ha fornito le indicazioni operative per quanto concerne gli obblighi contributivi a carico delle imprese. Ne prendiamo spunto per riepilogare le ultime disposizioni sull'argomento.

 

(di Manuela Gatto, Centro studi Aniv)

 

Una delle misure introdotte dal Legislatore per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 è stata l’introduzione del divieto di licenziamento individuale e collettivo. Si tratta di una previsione che, insieme al potenziamento degli ammortizzatori sociali, è diretta a preservare i posti di lavoro ed a contrastare la riduzione del personale in forza conseguente alla crisi economica in atto.

In origine l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia, come integrato e modificato dall’art. 80 del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio), ha previsto che a decorrere dal 17 marzo e fino al 17 agosto 2020:

  • fosse precluso l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
  • fossero sospese le procedure pendenti di cui sopra avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;
  • fossero preclusi i recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966;
  • fossero sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966.

In seguito, con l’art. 14 del D.L. n. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, il legislatore ha prorogato il blocco dei licenziamenti di cui sopra a decorrere dal 15 agosto 2020, seppur con una leggera attenuazione del vincolo; veniva stabilita, quale condizione necessaria per non incorrere nel divieto, che i datori di lavoro:

  • debbono aver integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 del medesimo decreto ovvero delle 18 settimane complessive collocate nel periodo compreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020;
  • oppure debbono aver integralmente fruito dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali.

Il D.L. n. 104/2020 ha introdotto, inoltre, rispetto ai precedenti decreti, la possibilità per il datore di lavoro di procedere legittimamente con i recessi, indipendentemente dall’integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale o dell’esonero contributivo nei seguenti casi tassativi:

  • licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività, con messa in liquidazione della società senza alcuna continuazione, anche parziale, dell'attività;
  • nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
  • licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.

Il D.L. 137/2020 (Decreto Ristori) ha prorogato il divieto di licenziamento fino al 31 gennaio 2021, applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo, superando dunque il meccanismo del “divieto mobile” introdotto dal Decreto Agosto, il quale legava il blocco dei licenziamenti alla disponibilità dell’ammortizzatore o degli sgravi .
E’ bene precisare che in ogni caso sono sempre stati estranei al divieto di licenziamento:

  • i licenziamenti disciplinari ossia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo;
  • i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;
  • i licenziamenti dei dirigenti;
  • i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova;
  • i licenziamenti dei lavoratori domestici;
  • i licenziamenti dei collaboratori coordinati e continuativi;
  • la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo.

L’Ispettorato nazionale del lavoro ha precisato inoltre, con la nota n. 298 del 24/06/2020, che rientra nella sospensione del licenziamento anche l’ipotesi della sopravvenuta inidoneità alla mansione.

Infine nell’intento di dare ulteriore continuità ai rapporti di lavoro nell’attuale fase di emergenza da Covid-19, la Legge di Bilancio 2021 (Legge 30 dicembre 2020, n.178) è intervenuta nuovamente in materia di licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo.
In particolare, i commi 309 e 310 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2021 estendono, fino al 31 marzo 2021, il periodo entro il quale resta preclusa ai datori di lavoro la possibilità di avviare le procedure di licenziamento collettivo e di esercitare la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, salvo specifiche eccezioni.

Nello specifico, la Legge di bilancio 2021 prevede il divieto di:

  1. avviare le procedure di licenziamento collettivo, previste dagli articoli 4, 5 e 24, della Legge n. 223/1991;
  2. concludere eventuali procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020;
  3. procedere a licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo;
  4. avviare procedure di conciliazione obbligatoria, previste dall’articolo 7 della Legge n. 604/1966, previsti unicamente per i lavoratori a tutele reali (lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 in aziende con organico superiore alle quindici unità) per i quali l’azienda voglia procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Per quanto riguarda le procedure di licenziamento collettivo, è prevista una eccezione nell’ipotesi in cui i dipendenti interessati al recesso risultino impiegati in un appalto che ha subìto un cambio di appaltatore, il quale, in forza di una norma di legge , di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola prevista all’interno dello stesso contratto di appalto, è obbligato a riassumere il personale in forza al momento del subentro.

Il successivo comma 311 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2021 estende, fino al 31 marzo 2021, le deroghe alle preclusioni in materia di licenziamento, introdotte dall’art. 14, comma 3, D.L. n. 104/2020 e confermate successivamente dall’art. 12, comma 11, D.L. n. 137/2020. Pertanto, ai sensi del suddetto comma 311, le preclusioni e le sospensioni in materia di licenziamenti non si applicano ed quindi è possibile procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro nelle seguenti ipotesi:

  1. licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c);
  2. in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nei casi in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso;
  3. nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.

In quest’ultimo caso la procedura deve rispettare le seguenti condizioni:

  • la controparte deve essere rappresentata dalle OO.SS. territoriali e non dalle rappresentanze aziendali (RSA/RSU);
  • deve essere previsto un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro che l’azienda dovrà corrispondere ai lavoratori aderenti alla procedura;
  • l’accordo deve prevedere una adesione dei singoli lavoratori e non un licenziamento unilaterale. L’adesione deve essere certificata da un accordo individuale in sede cd. «protetta» (principalmente dalla Commissione di conciliazione presso l’ITL o in sede sindacale);
  • per i lavoratori è riconosciuto il trattamento di NASpI (previsto dall'articolo 1, del d.lgs. n. 22/2015,) anche nel caso in cui l’accordo preveda la risoluzione consensuale;
  • il lavoratore, nella domanda di NASpI, dovrà allegare l’accordo collettivo aziendale e l’accordo individuale di adesione;
  • l’azienda dovrà corrispondere il ticket licenziamento.

L’eventuale violazione al divieto di licenziamento comporta la nullità del licenziamento stesso e la reintegra del lavoratore, così come disciplinato dall’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 23/2015, per i lavoratori a tutele crescenti, e dall’articolo 18 della legge n. 300/1970, per i lavoratori a tutele reali.

Con riferimento alle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento, l’INPS con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021 ha fornito le indicazioni operative per quanto concerne gli obblighi contributivi a carico delle imprese che procedono in tal senso.

 

Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale ed in caso di revoca del licenziamento - Obblighi contributivi

 

Dal 15 agosto 2020 le interruzioni del rapporto di lavoro intervenute a seguito di accordo collettivo aziendale dovranno essere esposte nel flusso Uniemens indicando il nuovo codice Tipo cessazione “2A”, avente il significato di: “Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

Inoltre, il datore di lavoro è tenuto al versamento del c.d. ticket di licenziamento. Ciò in quanto, in applicazione dell’art. 2, comma 31, della Legge 92/2012, i datori di lavoro sono tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato generi in capo al lavoratore il teorico diritto all’indennità NASpI, a prescindere dall’effettiva fruizione della stessa.

Il contributo, interamente a carico del datore di lavoro, deve essere versato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro.

L’Istituto specifica che per quanto attiene alle cessazioni intervenute precedentemente alla pubblicazione del messaggio in oggetto, il datore di lavoro è tenuto all’assolvimento dell’obbligo contributivo entro e non oltre il termine di versamento della denuncia del mese di marzo 2021, senza applicazione di ulteriori oneri.

In merito poi alla revoca di licenziamento, come noto, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del pluricitato Decreto Agosto, il datore di lavoro poteva revocare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, già intimati alla data di entrata in vigore della norma o intimati nel corso dell’anno 2020, a condizione che lo stesso inoltrasse contestualmente richiesta di trattamento di integrazione salariale di cui agli artt. da 19 a 22-quinques del D.L. 18/2020, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.

Successivamente, la L. 126/2020, di conversione in legge del Decreto Agosto, entrata in vigore il 14/10/2020, ha abrogato il comma 4 e pertanto la revoca dei licenziamenti è stata possibile dal 15 agosto 2020 (data di entrata in vigore del D.L. 104/2020) al 13 ottobre 2020.

L’INPS chiarisce quindi che il rapporto di lavoro deve considerarsi sospeso per il periodo che intercorre tra la data del licenziamento e la data della sua revoca e per tutta la durata dell’integrazione salariale, al termine della quale decorrono nuovamente gli obblighi contributivi in capo al datore di lavoro.
Il messaggio precisa inoltre che durante i periodi di integrazione salariale ordinaria o in deroga ovvero di assegno ordinario, le quote di TFR maturate restano a carico del datore di lavoro.

I datori di lavoro soggetti alla disciplina del Fondo di Tesoreria, pertanto, devono versare al predetto Fondo le quote di TFR maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale.

Tenuto conto che, per espressa disposizione normativa, alla revoca del licenziamento ai sensi dell’articolo 14, comma 4, del D.L. n. 104/2020, si applica una disciplina in deroga a quella ordinaria (prevista dall’art. 18, comma 10, della legge n. 300/1970) e che il legislatore ha precisato che “...il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro...”, il datore di lavoro tenuto a versare al Fondo di Tesoreria la contribuzione afferente ai periodi pregressi (ossia le quote di TFR maturate dalla data del licenziamento alla data del ripristino del rapporto di lavoro e incrementate della rivalutazione ai sensi dell’articolo 2120 c.c.) è esonerato dal versamento degli oneri aggiuntivi.

I datori di lavoro che non abbiano adempiuto al suddetto obbligo sono tenuti al versamento delle quote di TFR – maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale richiesto ai sensi del comma 4 dell’articolo 14 del D.L. n. 104/2020 – entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella di pubblicazione del messaggio 528, senza applicazione di ulteriori oneri.
Resta fermo che, per i datori di lavoro tenuti al versamento al Fondo di Tesoreria, l’obbligo contributivo permane secondo le ordinarie scadenze durante i periodi di integrazione salariale non connessi alla fattispecie oggetto del succitato messaggio.

Infine, a seguito della revoca, viene meno l’obbligo del datore di lavoro di versamento del c.d. ticket di licenziamento. Pertanto, i datori di lavoro che hanno assolto l’obbligo di versamento, in conseguenza dell’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avranno diritto al recupero dell’importo versato.

Per il recupero del c.d. ticket di licenziamento eventualmente versato, i datori di lavoro dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni (Uniemens/vig) secondo le consuete modalità.

 


Pubblicato: 26 Febbraio 2021
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La nuova disposizione per le norme imperfette: Circolare INL 5/2020 e Nota INL del 15.12.2020

 

(di Anna Rita Caruso, Centro studi Aniv)

 

  • In che cosa si differenzia la nuova disposizione rispetto a quella precedente?

La nuova disposizione modificata dall’art. 12 bis del D.L. n. 76/2020, Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, convertito in legge n. 120/2020, si differenzia dalla vecchia disposizione dell’art. 14 del d.lgs n. 124/2004 perché ha un’immediata applicabilità e consente agli ispettori del lavoro di intervenire in situazioni irregolari per le quali non sono previste sanzioni penali ed amministrative. Nella precedente disciplina l’ispettore imponeva in capo al datore di lavoro un obbligo nuovo-specifico, genericamente disposto dalla legge (Circ. 24/2004), ma lo strumento appariva piuttosto limitato perché l’ispettore doveva individuare obblighi legislativi generici ed intervenire. Ad esempio, si poteva utilizzare la disposizione per imporre al datore di eliminare l’insegna recante attività non esercitabili ex art. 1 della legge 12/1979, oppure si poteva imporre al datore di effettuare la comunicazione al Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro del nominativo del professionista abilitato; inoltre l’ispettore poteva altresì imporre al datore un sistema di rilevazione delle presenze per controllare riposi/pause.

  • Perché si parla di maggior trasparenza nella nuova disposizione? Cosa vuol dire che l’ispettore interviene nelle norme imperfette?

Perché nella precedente disciplina l’ispettore partiva da situazioni irregolari che erano normate genericamente e in questo modo ampliava la propria discrezionalità per sanare situazioni non conformi, qui invece l’ispettore non esercita un potere creativo, ma interviene su obblighi già normati in capo al datore che però non sono sanzionati con norme penali ed amministrative (norme imperfette).

  • E’ vero che con questo nuovo potere di disposizione i controlli ispettivi diventeranno più invasivi?

Assolutamente no, infatti ci sono nel nostro ordinamento lavoristico moltissime norme legislative e contrattuali prive di sanzione, ma che prescrivono comportamenti già regolamentati da tempo fra le parti ed è proprio in questo contesto che si inserisce la nuova disposizione. Nulla di nuovo quindi, ma solo uno strumento per rendere effettiva la legislazione e i contratti vigenti privi di sanzioni penali ed amministrative.

  • Con la nuova disposizione l’ispettore può creare-specificare obblighi non previsti da leggi o contratti?

No, con la nuova disposizione l’ispettore non potrà più specificare obblighi generici, ma potrà solo agire in fattispecie già regolate da norme e contratti ma sprovviste di relativa sanzione (norme imperfette).

  • Quali sono gli ispettori del lavoro che possono imporre questa disposizione?

Tutti gli ispettori INL, INPS e INAIL, posto che l’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 149/2015 affida loro, in generale, i poteri già assegnati al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  • Ma in sintesi quando l’ispettore può intervenire con una disposizione? Sono previsti anche casi di spettanze retributive?

In tutti quei casi in cui c’è violazione di un obbligo legislativo e contrattuale sprovvisto di sanzione amministrativa e penale. Sono da ritenersi escluse le obbligazioni di natura patrimoniale, per il cui adempimento appaiono molto più utili altri strumenti come la diffida accertativa o la conciliazione monocratica.

  • Nel caso di violazione di obblighi contrattuali l’ispettore può applicare sempre la disposizione? Sia per gli obblighi presenti nella parte normativa che per quelli presenti nella parte economica del CCNL?

Il riferimento agli obblighi contrattuali violati deve essere interpretato solo in relazione alla parte normativa ed economica del CCNL; deve invece escludersi, fatte salve le ipotesi già valutate positivamente, il riferimento alla parte obbligatoria dei CCNL (cfr. circolari INL nn. 9/2019 e 2/2020).

  • Ma allora quali sono concretamente i casi in cui l’ispettore può intervenire con disposizione? Esiste un elenco non esaustivo?

L’INL con nota del 15 dicembre 2020 ha fornito un elenco non esaustivo, fra cui semplificando avremo: 1) Mancato aggiornamento di ferie, permessi, Rol, banca ore; 2) Mancato pagamento delle indennità previste in caso di fruizione di permessi art. 33 legge 104/1992 e congedo straordinario; 3) Discriminazioni di natura sindacale-politica-religiosa-razziale; 4) Adozione del sistema di rilevazione delle presenze; 5) Annullamento di una comunicazione al CPI, variazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time; 6) Mancata individuazione nel contratto di lavoro delle fasce orarie o dei turni di lavoro, nonché mancato rispetto delle previsioni contrattuali circa la collocazione oraria delle prestazioni dei part-timer; 7) Mancato rispetto dei tempi di preavviso contrattuali nel lavoro intermittente; 8) Disposizioni in ambito cooperativistico; 9) Mancato rispetto della rotazione dei lavoratori da porre in CIG o in CIG in deroga; 10) Violazione dei limiti legali relativi al trasferimento o al distacco del lavoratore; 11) Mancato versamento da parte del datore di lavoro delle quote di TFR maturate dal lavoratore che abbia aderito ai fondi di previdenza complementare; 12) Riduzione del periodo di apprendistato sulla base delle previsioni contrattuali; 13) Mancata attribuzione dei permessi per i lavoratori studenti; 14) Mancata attribuzione dei congedi per la formazione, previsti e finalizzati al completamento della scuola dell'obbligo e al conseguimento di titoli di studio; 15) Diritto del lavoratore a riposi, congedi o permessi in occasione di particolari eventi (ad es. per motivi di studio, per matrimonio, per gravi motivi familiari, allattamento, operazioni elettorali, permessi ex L. 104/1992); 16) Mancata concessione alle lavoratrici madri del part time post partum; 17) Mancato rispetto dei tempi di pausa; 18) Disposizione impartita con riferimento alla fruizione delle ferie ad ore non consentita dalla legge o dalla contrattazione collettiva; 19) Mancata formazione dell’apprendista salvo il caso in cui ciò non comporti un obbligo per il personale ispettivo di procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro; 20) Omessa consegna del CUD; 21) Conservazione delle presenze mensili del personale dipendente occupato per la durata di 5 anni dalla data dell’ultima registrazione, con obbligo di custodia nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003).

  • Se ad esempio come ispettore non posso sanzionare il mancato rispetto dei riposi per le guardie giurate perché il settore è escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs 66/2003 (come per molti altri settori), posso allora utilizzare la disposizione per imporre il rispetto dei riposi contrattuali? Insomma posso utilizzare la disposizione per imporre il rispetto dei tempi di lavoro/riposo per tutti quei settori esclusi dal d.lgs 66/2003?

Certo, come chiarito dalla Circolare INL 1062 del 30.11.2020, si può utilizzare il nuovo potere di disposizione per indurre il datore di lavoro al rispetto degli obblighi contrattuali. Per analogia la disposizione per il rispetto dei tempi di lavoro/riposo può essere utilizzata per tutti i settori esclusi dal d.lgs 66/2003 purché abbiano una fonte contrattuale collettiva (non individuale).

  • Cosa succede se come datore di lavoro non ottempero alla disposizione? Quali altre misure possono accompagnare la disposizione?

La conseguenza prevista per l’inosservanza del provvedimento è una sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro. Il termine per adempiere viene fissato dall’ispettore in base alla tipologia di obbligo, secondo un criterio di adeguatezza e proporzionalità.

Laddove il datore di lavoro non ottemperi alla disposizione e non opponga ricorso, come pure nel caso in cui venga rigettato il ricorso proposto, ferma restando l’adozione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 124/2004, si potrà procedere alla emanazione delle diffide accertative, ove ne ricorrano i presupposti, oppure previo esperimento di ulteriori approfondimenti in ordine alla quantificazione dei diritti patrimoniali di ciascun lavoratore.

  • Che rapporto c’è tra la nuova disposizione disciplinata dall’art. 12 bis del D.L. n.  76/2020 e la disposizione di cui agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/1955 in materia di prevenzione infortuni e norme obbligatorie per le quali sia attribuito dalle singole leggi all’ispettore un apprezzamento discrezionale?

La mancata ottemperanza alla disposizione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955, impartita in relazione alla materia infortunistica o in relazione ad altre norme per le quali è previsto un “apprezzamento discrezionale” da parte dell’ispettore, sono punite con la sanzione amministrativa da 515 a 2.580 euro ovvero con la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino a 413 euro se l’inosservanza riguarda disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro in materia di sicurezza o igiene del lavoro. In questo senso la nuova disposizione si somma a quelle già esistenti senza abrogarle o modificarle.

  • Sono un datore di lavoro, come faccio a far ricorso contro la nuova disposizione e quanto tempo ho per impugnare? Se ricorro contro il provvedimento, sospendo l’esecutività della disposizione?

Non vi sono novità rispetto agli strumenti della vecchia disposizione, è previsto il ricorso del datore di lavoro entro 15 giorni al Direttore dell’Ispettorato che deciderà entro i successivi 15 giorni, decorso tale termine vige il silenzio-rigetto. Il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione.

Appare sempre azionabile il ricorso giudiziale al TAR competente per territorio ove potranno essere sollevate questioni riguardanti i profili di legittimità del provvedimento.

 


Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell'autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.

 

 

Pubblicato: 21 Febbraio 2021
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CASSAZIONE - Sentenza n. 26160 del 17-11-2020

aula tribunale

  

I contributi previdenziali sono dovuti per le ferie non godute e non retribuite nel corso del rapporto di lavoro. L’obbligo contributivo sussiste a prescindere dal fatto che l’indennità possa essere monetizzata solo alla cessazione del rapporto di lavoro che diventa, quindi, irrilevante ai fini previdenziali.

 

(di Marianna Abbate, Centro studi Aniv)

 

La Corte di Cassazione – IV Sezione Civile Lavoro – nella sentenza n. 26160 del 17/11/2020 affronta una questione giuridica di rilevanza nomofilattica e, nel sancire il principio di diritto che fra poco andremo ad analizzare, conferma pienamente l’orientamento già espresso nella prassi amministrativa dall’INPS in materia di ferie non godute e contributi previdenziali dovuti.

 

“Excursus processuale”

La causa in sede civile prende le mosse da un verbale di accertamento degli ispettori INPS che addebitano la contribuzione sull’importo corrispondente all’indennità sostitutiva delle ferie non godute per alcuni dipendenti di una azienda industriale, decorso il termine il termine di 18 mesi successivi all’anno di maturazione, in costanza di rapporto di lavoro. In primo grado, il Tribunale rigetta il ricorso in opposizione al verbale ispettivo a favore dell’INPS.

L’azienda impugna in appello la sentenza di primo grado: la Corte d’Appello, ribaltando la decisione di primo grado, accoglie il gravame ed annulla il verbale di accertamento. L’INPS ricorre in Cassazione con un solo motivo; resiste con controricorso l’azienda. La Corte accoglie il ricorso dell’INPS, cassa la sentenza di secondo grado impugnata e rinvia alla Corte d’Appello per un nuovo esame della controversia alla luce del seguente principio di diritto enunciato:

 

L’importo corrispondente all’indennità per ferie non godute costituisce base contributiva imponibile, decorso il termine di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 66/2003 a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro

 

"Res controversa"

Gli ispettori dell’Inps, accertata la mancata fruizione delle ferie da parte di alcuni dipendenti di un’azienda industriale nel termine di 18 mesi successivi all’anno di maturazione, in costanza di rapporto di lavoro, addebitano i contributi dovuti sull’importo corrispondente al compenso per ferie non godute, anche se non materialmente corrisposto.

Gli ispettori agiscono in base al consolidato orientamento della prassi amministrativa dell’Istituto, avallato anche dal Ministero del lavoro, secondo il quale il momento impositivo e la collocazione temporale dei contributi dovuti sul compenso delle ferie non godute coincidono con il diciottesimo mese successivo al termine dell’anno solare di maturazione delle stesse o con il più ampio termine contrattuale, sebbene non ancora realmente corrisposto.

L’azienda contesta l’addebito contributivo adducendo la non sussistenza dell’obbligo contributivo in capo al datore di lavoro in costanza di rapporto di lavoro, alla luce del divieto di monetizzazione delle ferie non godute, se non all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003.

In sintesi, secondo la difesa di controparte, accolta in sede di gravame, la cessazione del rapporto di lavoro, costituendo il presupposto per l’insorgenza del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute, è condizione necessaria anche per l’insorgenza del corrispondente obbligo contributivo. Finché il datore di lavoro non è obbligato a “monetizzare” le ferie, non deve pagare i contributi.

Motivi del ricorso in Cassazione

Con l’unico motivo dedotto in ricorso, l’Inps afferma che l’obbligo contributivo sussiste a prescindere dalla effettiva erogazione dell’importo maturato a titolo di ferie non godute a causa dell’inadempimento del datore di lavoro e quindi a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La decisione della Suprema Corte

Preliminarmente il Giudice di ultima istanza, richiamando anche precedenti e consolidati orientamenti di legittimità, ribadisce che, nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute costituisce retribuzione imponibile ai fini previdenziali poiché:

a) rientra nella previsione di cui all’art. 12 della Legge n. 153 del 1969 che sancisce il principio di omnicomprensitività della retribuzione imponibile, indipendentemente dall’indagine volta a stabilire la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità stessa;
b) gode della garanzia di cui all’art. 2126, comma 2, c.c., poiché la prestazione lavorativa effettuata in luogo delle ferie è resa appunta in violazione di legge.

Tuttavia la Corte afferma che per stabilire la sussistenza dell’obbligo contributivo nella fattispecie in esame bisogna abbandonare sia il punto di vista contrattuale - interno tra lavoratore e datore di lavoro - che la disciplina privatistica delle ferie e del divieto di monetizzazione delle stesse.

La Cassazione sposta la sua attenzione sul carattere pubblicistico dell’obbligazione contributiva, affermando il principio secondo il quale l’obbligazione contributiva discende direttamente dalla legge e come tale è sottratta all’autonomia privata.
Se un lavoratore ha prestato attività lavorativa nel periodo in cui invece avrebbe dovuto godere delle ferie (costituzionalmente irrinunciabili) e il datore di lavoro si è avvantaggiato della sua maggiore produzione lavorativa, si è generata una maggiore capacità contributiva in relazione al diritto all’indennità sostitutiva delle ferie maturato dal lavoratore. L’obbligo contributivo sussiste indipendentemente dal fatto che l’indennità possa essere monetizzata solo alla cessazione del rapporto di lavoro che diventa, quindi, irrilevante ai fini previdenziali.

Il credito contributivo è indisponibile dalle parti, poiché discende dal regime previdenziale a carattere pubblico e a rilevanza costituzionale.

 

Normativa di riferimento:

Art. 10 del D.lgs. n. 66/2003: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.

Art. 2126 comma 2, c.c.: “Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione [2098].”

Art. 12, comma 1, della Legge n. 153 del 1969: “Per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”.

 

Prassi amministrativa:

Circolare INPS n. 186/99;

Circolare INPS n. 15/2002;

Messaggio Inps n. 118 del 08/10/2003.

 

 La sentenza

 

 

 


Pubblicato: 01 Dicembre 2020
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Attività dell’INL esperibili in remoto ai tempi del Covid

 

Con Decreto Dirigenziale n. 56 del 22 settembre 2020, il Direttore dell’INL fornisce le prime indicazioni sulle procedure di competenza dell’Ispettorato da effettuarsi in remoto, ai sensi dell’art. 12 bis del D.L. n. 76/2020.

(di Anna Rita Caruso, Centro Studi Aniv)

 

 

Il Decreto Dirigenziale INL n. 56 del 22/09/2020 si inserisce nel quadro di razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, già contenuto nel D.Lgs. 149/2015, che trova ora un’ulteriore spinta nell’art. 12 bis del D.L. 76/2020, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale.

Detto articolo statuisce che le istruttorie finalizzate al rilascio delle convalide delle dimissioni durante il periodo protetto della maternità e della paternità di cui all’articolo 55, comma 4, del D.Lgs. n. 151/2001 e collegate al matrimonio di cui all’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. n. 198/20061, nonché le altre procedure amministrative o conciliative che presuppongono la presenza fisica dell’istante, possono essere effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto che consentano in ogni caso l’identificazione degli interessati e l’acquisizione della volontà espressa.

Ciò posto, il Direttore dell’INL ha stabilito che possono essere effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto le seguenti procedure amministrative o conciliative di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro:
a) attività conciliativa ai sensi dell’art. 410 c.p.c., degli artt. 11 e 12 del D.Lgs. n. 124/2004;
b) audizioni ai sensi dell’art. 18 della L. n. 689/1981;
c) attività certificativa ai sensi degli artt. 75 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003;
d) istruttoria rinnovo contratti a tempo determinato ai sensi dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 81/2015;
e) audizioni nell’ambito dell’attività di vigilanza ad esclusione degli accertamenti concernenti profili di rilevanza penale.

Con specifica circolare sono indicate le modalità di svolgimento da remoto delle procedure sopra citate che, in ogni caso, devono consentire l’identificazione degli interessati o dei soggetti dagli stessi delegati e l’acquisizione della volontà espressa.

Nel proseguo della trattazione, si commenteranno le disposizioni relative all’attività conciliativa, mentre con riferimento all’attività di vigilanza, allo stato attuale non è ancora stata diffusa una circolare ulteriormente esplicativa, ma ci si aspetta che la sua gestione sia molto simile a quella già prevista per l’attività conciliativa con Circolare n. 4/2020 del 25/09/2020.

 

Procedure amministrative o conciliative di competenza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che possono essere effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto

 

INL attività da remoto ai tempi del Covid

La Circolare dell'INL n. 4/2020 introduce il meccanismo del “silenzio-accoglimento” per le autorizzazioni di cui all’articolo 4, comma 2, della Legge n. 977/1967, nonché per quelle di cui all’articolo 15, comma 2, della Legge n. 370/1934 e per tutti gli ulteriori provvedimenti autorizzativi di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro individuati con provvedimento del Direttore. In questo modo, detti provvedimenti, si intendono rilasciati decorsi 15 giorni dalla relativa istanza.

In sintesi, la Circolare ha previsto una forma di “silenzio accoglimento” per:

  • provvedimenti autorizzativi all’impiego dei minori in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo (art. 4, comma 2, L. n. 977/1967);
  • provvedimenti autorizzativi relativi al frazionamento del riposo di 24 ore settimanali in due periodi di 12 ore consecutive ciascuno per il personale addetto ai pubblici spettacoli (art. 15, comma 2, L. n. 370/1934);
  • ogni altro provvedimento eventualmente individuato dal Direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

A decorrere dal 15 settembre 2020, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 76/2020, tali provvedimenti “...si intendono rilasciati decorsi 15 giorni dalla relativa istanza”.
A tal riguardo, si precisa che il termine di 15 giorni decorre dal giorno successivo a quello di presentazione dell'istanza. (Per continuare la lettura dell'articolo, cliccare sul pulsante Leggi tutto...)

Pubblicato: 22 Novembre 2020

Leggi tutto: Attività dell’INL esperibili in remoto ai tempi del Covid

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cantiere subfornituraINL - Circolare n. 5 del 30 settembre 2020

Art. 12 bis del D.L. n. 76/2020 convertito dalla Legge n. 120/2020 – Potere di disposizione. Prime indicazioni per il personale ispettivo.

 

L’art. 12 bis del Decreto-Legge n. 76 del 16 luglio 2020 (“Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale”), convertito con Legge n. 120 dell'11 settembre 2020, ha riformato gli istituti della diffida accertativa per crediti patrimoniali e della disposizione già disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 12 e 14 del Decreto Legislativo 124/2004. Si tratta di modifiche che, da un lato, semplificano l’utilizzo di tali poteri da parte del personale ispettivo e, dall’altro, ampliano sensibilmente la possibilità di garantire una tutela sostanziale ai lavoratori.
Con la circolare – condivisa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è in merito espresso con nota prot. 9860 del 28 settembre u.s. - l'INL fornisce le prime indicazioni per un corretto utilizzo del potere di disposizione da parte del personale ispettivo.
Analoghe prescrizioni seguiranno riguardo alle modifiche apportate dal legislatore in tema di diffida accertativa.

 

La circolare

 

 

Pubblicato: 24 Ottobre 2020
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INPS - Circolare n. 105 del 18-09-2020

 

Esonero dal versamento dei contributi previdenziali per aziende che non richiedono trattamenti di cassa integrazione previsto dall'articolo 3 del D.L. n. 104 del 14 agosto 2020, recante “Misure eurgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia” (pubblicato nella G.U. 203 del 14 agosto 2020).

 

L’articolo 3 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”, ha previsto un esonero dal versamento dei contributi previdenziali per le aziende che non richiedano ulteriori trattamenti di cassa integrazione. Con la circolare n. 105 del 18 settembre 2020 l'Inps fornisce le prime indicazioni per la gestione degli adempimenti previdenziali connessi alla predetta misura di esonero contributivo.

 

La circolare

 

 

 

Pubblicato: 22 Settembre 2020
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Forum 2020 - Terza giornata

 

Conclusa la terza giornata e terminati anche i lavori del 38° Forum Aniv 2020 con l'intervento del Direttore Generale dell'INPS, dott.ssa Gabriella Di Michele.

forum 2020 locandina

 

Con l'intervento del Direttore Generale dell'INPS, dott.ssa Gabriella Di Michele, e i saluti conclusivi del presidente dell’Aniv Giancarlo Sponchia, si è giunti alla conclusione di questo 38° Forum Aniv, iniziato con la comprensibile preoccupazione legata all'emergenza sanitaria ma concluso nel migliore dei modi, senza alcun problema che ne abbia minato importanza e prestigio.

I lavori sono stati aperti dal direttore provinciale dell'Inps di Siracusa, Salvatore Di Stefano, il quale ha accennato ai dati della vigilanza ispettiva in Sicilia nel corso dell'anno 2019 e dei primi mesi del 2020. A seguire la puntuale ed appassionante relazione del prof. Giuseppe Gentile, coordinatore scientifico del Centro Studi ANIV, dal titolo «L'evoluzione dell'ordinamento del lavoro tra esigenze di tutele e riflessi ispettivi», una finestra sulle più recenti disposizioni normative e la necessità di coniugare efficienza e produttività delle imprese con la tutela delle regole e della legalità nel mondo del lavoro. Tra gli altri interventi, ricordiamo quelli di Alessandro Vecchietti, vicepresidente del CIV Inps designato da Confcommercio, che ha detto dell'opportunità di stabilire i contributi dovuti all'Inps a prescindere dal contratto applicato dall'impresa ma basandoli su parametri stabiliti e codificati con l'Uniemens.

E poi l'intervento degli esponenti sindacali Angelo Marinelli, in rappresentanza della Cisl Funzione Pubblica, e Gerardo Romano, segretario Organizzativo UILPA. Entrambi hanno ribadito l'evidenza del fallimento del modello di vigilanza introdotto col D. Lgs. 149 del 2015 e il bisogno di una riforma che, lasciando inalterati i poteri attribuiti agli ispettori dei tre Enti (Inl, Inps ed Inail) preveda l'eliminazione dei ruoli ad esaurimento e riaffermi competenze e specificità ("...anche esclusive per materia..." come affermato da Romano).

Ed inoltre l'intervento del giovane responsabile operativo del Centro Studi Nazionale ANCL, Francesco Lombardo, e di quello del dott. Giuseppe Venier, amministratore delegato di Umana (azienda che ogni giorno da lavoro a 25 mila persone). Venier ha puntato il dito contro le alterazioni del mercato del lavoro, minato dalla concorrenza sleale di imprese che non rispettano le regole, le quali andrebbero sanzionate con più efficacia dagli ispettori, mentre le aziende "sane" andrebbero seguite con una luce diversa.

Prima della conclusione dei lavori da parte del direttore generale dell'INPS, l'intervento dell'On. Carmela Bucalo, componente della XI COMMISSIONE permanente della Camera (Lavoro Pubblico e Privato), la quale ha affermato che non è stato fatto quanto necessario per aiutare imprese e famiglie durante la fase Covid.

Infine, come detto, la chiusura dei lavori da parte del direttore generale dell'INPS, dott.ssa Gabriella Di Michele. Del suo intervento, rivolto specificamente agli ispettori, ne riferiamo per i soci in area riservata.

 

 

Pubblicato: 16 Settembre 2020

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  • PIANETA LAVORO E TRIBUTI numeri 23 e 24 anno 2020
  • PIANETA LAVORO E TRIBUTI numeri 1 e 2 anno 2021
  • L'Ispettore e la Società numero 6 anno 2020

 

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