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CASSAZIONE - Sentenza n. 26160 del 17-11-2020

aula tribunale

  

I contributi previdenziali sono dovuti per le ferie non godute e non retribuite nel corso del rapporto di lavoro. L’obbligo contributivo sussiste a prescindere dal fatto che l’indennità possa essere monetizzata solo alla cessazione del rapporto di lavoro che diventa, quindi, irrilevante ai fini previdenziali.

 

(di Marianna Abbate, Centro studi Aniv)

 

La Corte di Cassazione – IV Sezione Civile Lavoro – nella sentenza n. 26160 del 17/11/2020 affronta una questione giuridica di rilevanza nomofilattica e, nel sancire il principio di diritto che fra poco andremo ad analizzare, conferma pienamente l’orientamento già espresso nella prassi amministrativa dall’INPS in materia di ferie non godute e contributi previdenziali dovuti.

 

“Excursus processuale”

La causa in sede civile prende le mosse da un verbale di accertamento degli ispettori INPS che addebitano la contribuzione sull’importo corrispondente all’indennità sostitutiva delle ferie non godute per alcuni dipendenti di una azienda industriale, decorso il termine il termine di 18 mesi successivi all’anno di maturazione, in costanza di rapporto di lavoro. In primo grado, il Tribunale rigetta il ricorso in opposizione al verbale ispettivo a favore dell’INPS.

L’azienda impugna in appello la sentenza di primo grado: la Corte d’Appello, ribaltando la decisione di primo grado, accoglie il gravame ed annulla il verbale di accertamento. L’INPS ricorre in Cassazione con un solo motivo; resiste con controricorso l’azienda. La Corte accoglie il ricorso dell’INPS, cassa la sentenza di secondo grado impugnata e rinvia alla Corte d’Appello per un nuovo esame della controversia alla luce del seguente principio di diritto enunciato:

 

L’importo corrispondente all’indennità per ferie non godute costituisce base contributiva imponibile, decorso il termine di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 66/2003 a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro

 

"Res controversa"

Gli ispettori dell’Inps, accertata la mancata fruizione delle ferie da parte di alcuni dipendenti di un’azienda industriale nel termine di 18 mesi successivi all’anno di maturazione, in costanza di rapporto di lavoro, addebitano i contributi dovuti sull’importo corrispondente al compenso per ferie non godute, anche se non materialmente corrisposto.

Gli ispettori agiscono in base al consolidato orientamento della prassi amministrativa dell’Istituto, avallato anche dal Ministero del lavoro, secondo il quale il momento impositivo e la collocazione temporale dei contributi dovuti sul compenso delle ferie non godute coincidono con il diciottesimo mese successivo al termine dell’anno solare di maturazione delle stesse o con il più ampio termine contrattuale, sebbene non ancora realmente corrisposto.

L’azienda contesta l’addebito contributivo adducendo la non sussistenza dell’obbligo contributivo in capo al datore di lavoro in costanza di rapporto di lavoro, alla luce del divieto di monetizzazione delle ferie non godute, se non all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003.

In sintesi, secondo la difesa di controparte, accolta in sede di gravame, la cessazione del rapporto di lavoro, costituendo il presupposto per l’insorgenza del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute, è condizione necessaria anche per l’insorgenza del corrispondente obbligo contributivo. Finché il datore di lavoro non è obbligato a “monetizzare” le ferie, non deve pagare i contributi.

Motivi del ricorso in Cassazione

Con l’unico motivo dedotto in ricorso, l’Inps afferma che l’obbligo contributivo sussiste a prescindere dalla effettiva erogazione dell’importo maturato a titolo di ferie non godute a causa dell’inadempimento del datore di lavoro e quindi a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La decisione della Suprema Corte

Preliminarmente il Giudice di ultima istanza, richiamando anche precedenti e consolidati orientamenti di legittimità, ribadisce che, nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute costituisce retribuzione imponibile ai fini previdenziali poiché:

a) rientra nella previsione di cui all’art. 12 della Legge n. 153 del 1969 che sancisce il principio di omnicomprensitività della retribuzione imponibile, indipendentemente dall’indagine volta a stabilire la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità stessa;
b) gode della garanzia di cui all’art. 2126, comma 2, c.c., poiché la prestazione lavorativa effettuata in luogo delle ferie è resa appunta in violazione di legge.

Tuttavia la Corte afferma che per stabilire la sussistenza dell’obbligo contributivo nella fattispecie in esame bisogna abbandonare sia il punto di vista contrattuale - interno tra lavoratore e datore di lavoro - che la disciplina privatistica delle ferie e del divieto di monetizzazione delle stesse.

La Cassazione sposta la sua attenzione sul carattere pubblicistico dell’obbligazione contributiva, affermando il principio secondo il quale l’obbligazione contributiva discende direttamente dalla legge e come tale è sottratta all’autonomia privata.
Se un lavoratore ha prestato attività lavorativa nel periodo in cui invece avrebbe dovuto godere delle ferie (costituzionalmente irrinunciabili) e il datore di lavoro si è avvantaggiato della sua maggiore produzione lavorativa, si è generata una maggiore capacità contributiva in relazione al diritto all’indennità sostitutiva delle ferie maturato dal lavoratore. L’obbligo contributivo sussiste indipendentemente dal fatto che l’indennità possa essere monetizzata solo alla cessazione del rapporto di lavoro che diventa, quindi, irrilevante ai fini previdenziali.

Il credito contributivo è indisponibile dalle parti, poiché discende dal regime previdenziale a carattere pubblico e a rilevanza costituzionale.

 

Normativa di riferimento:

Art. 10 del D.lgs. n. 66/2003: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.

Art. 2126 comma 2, c.c.: “Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione [2098].”

Art. 12, comma 1, della Legge n. 153 del 1969: “Per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”.

 

Prassi amministrativa:

Circolare INPS n. 186/99;

Circolare INPS n. 15/2002;

Messaggio Inps n. 118 del 08/10/2003.

 

 La sentenza