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CASSAZIONE - Sentenza n. 15120 del 03-06-2019

aula tribunale

  

La contribuzione è dovuta anche in caso di assenze del lavoratore per ipotesi diverse da quelle previste dalla legge e/o dal Contratto Collettivo.

 

(di Domenica Cori, Collegio Nazionale di Tutela d Garanzia Aniv)

 

Con la pronuncia del 3 giugno 2019, n. 15120 la Cassazione è tornata a ribadire che, nel caso in cui il lavoratore effettui prestazioni di lavoro inferiori a quelle previste contrattualmente, per una libera scelta del datore di lavoro e non per ipotesi di sospensione dell’attività lavorativa, previste dalla legge o dal Contratto Collettivo di riferimento, la contribuzione dovuta all’INPS non può essere limitata alle ore di lavoro indicate nel libro unico, bensì calcolata e versata sulle retribuzioni contrattualmente previste, anche se non corrisposte.

L’importo della retribuzione da assumere come base imponibile per il calcolo dei contributi è costituita, infatti, ai sensi dell’art. 1 comma 1 del Decreto Legge 338 del 1989, convertito con Legge 389 del 1989, dalla retribuzione contrattualmente dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, nel settore di riferimento e non da quella effettivamente erogata dal datore di lavoro, non rilevando ai fini del rapporto assicurativo (da cui derivano obblighi del tutto diversi da quelli inerenti al rapporto di lavoro) la circostanza che il lavoratore abbia accettato la corresponsione di compensi inferiori a quelli a lui spettanti o abbia rinunciato a far valere al riguardo i propri diritti.

È evidente infatti come il minimo imponibile sia collegato al fattore tempo e quindi l’orario normale non possa mai essere affidato alla volontà delle parti se ciò comporti una riduzione dell’imponibile. In caso contrario infatti i contributi risulterebbero tali da non potere soddisfare le finalità assicurative e previdenziali previste dal legislatore.

Un tale principio, fondato sull’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello retributivo, si è consolidato in giurisprudenza a partire dalle Sezioni Unite n. 11199 del 2002, la quale è stata richiamata dalla sentenza in commento, che ha precisato come il principio del c.d. minimale contributivo operi anche con riferimento all’orario di lavoro.
Sul punto la Cassazione ha infatti osservato che: “...è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione non vi può essere rispetto del minimo contributivo...”. Come è noto tale obbligo del minimale contributivo è tipizzato nel settore edile ove la presenza di eventi esterni che sono imprevedibili dalle parti ha reso necessaria tale previsione. Tuttavia come precisato dalla Cassazione richiamata:

Anche nei settori diversi da quello edile, la contribuzione è dunque dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione stessa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo (quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione)”.

Un tale assunto ha importanti ripercussioni in materia di onere della prova dal momento che la Cassazione fa ricadere sul datore di lavoro nel caso di recuperi contributivi la prova dell’esenzione dell’obbligo contributivo. Segnatamente si precisa che:

Ove dunque gli enti previdenziali e assistenziali pretendano da una impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale determinata ai sensi dell’art. 1 del D.L. 09/10/1989, n. 338, anche con riferimento all’orario di lavoro, incombe al datore di lavoro allegare e provare la ricorrenza di un’ipotesi eccettuativa dell’obbligo nel senso sopra individuato”. 

 

 La sentenza